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Divieto di vendita di sigarette elettroniche con presenza di nicotina ai minori di anni diciotto: quale sanzione in caso di inottemperanza?

Il comandante della Polizia Municipale di Porto San Giorgio (FM), Dott. Giovanni Paris, mi ha inviato nei giorni scorsi un interessante approfondimento relativo alla problematica delle sanzioni a carico di coloro che violano il divieto di vendere sigarette elettroniche contenenti nicotina ai minori di anni 18.

Dallo studio emerge che le sanzioni applicabili non sono in realtà quelle indicate dal Ministero…
Un grazie a nome di tutti i colleghi per il prezioso contributo.

Piero Nuciari


Di seguito il testo pervenuto.

I PROVVEDIMENTI

Indichiamo quali sono i provvedimenti che si sono succeduti nel tempo aventi ad oggetto il divieto in trattazione.

Con ordinanza del 04/08/11 il Ministero della Salute ebbe ad imporre il divieto di vendita di sigarette elettroniche con presenza di nicotina ai soggetti minori degli anni 16, divieto avente scadenza temporale 12 mesi dalla data della sua entrata in vigore.

Con ordinanza del 28/09/12 il Ministero della Salute ebbe a reiterare il divieto sopra indicato con efficacia per un periodo di 06 mesi a decorrere dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella G.U. .

Con ordinanza firmata il 02/04/13 il Ministro della Salute Renato Balduzzi ha innalzato il divieto di vendita delle sigarette elettroniche con presenza di nicotina dai 16 ai 18 anni. In tal modo l’ordinanza di settembre viene ad essere modificata, essa comunque resterà in vigore fino al 23/04/13. Dopo tale data e per ulteriori 06 mesi il divieto di vendita sarà vigente per i minori degli anni 18. La nuova ordinanza ha voluto sostanzialmente porsi in linea con l’art. 7 del D.L. 158/12 del Decreto Balduzzi che a partire dal 01/01/13 ha elevato a 18 anni il limite di età per la vendita e la somministrazione dei prodotti del tabacco.

LA VIOLAZIONE DELL’ORDINANZA DEL MINISTERO DELLA SALUTE DEL 04/08/11

La domanda che occorse nell’occasione dell’adozione dell’ordinanza del 04/08/11 fu quella di individuare quale fosse la sanzione da applicare in caso di violazione del divieto, dal momento che nel dispositivo del provvedimento non si faceva alcun riferimento normativo riguardante tale aspetto.

L’ordinanza ministeriale suddetta è pur sempre un provvedimento amministrativo anche se a valenza generale, cioè diretta a tutti i consociati, quindi con carattere “normativo”, e così come tutti i provvedimenti amministrativi che prevedono obblighi, divieti e limitazioni trovano la sanzione in caso di loro inottemperanza in una disposizione di legge, anche la violazione al provvedimento de quo deve trovare specifica sanzione in una disposizione di legge.

Quanto sopra in ossequio al principio di legalità/tipicità che regola il provvedimento amministrativo, cioè a dire che la legge deve prevederne i presupposti e condizioni per la sua emissione, l’organo/autorità competente alla adozione, gli effetti e la forma di esso, ecc,.

Pertanto la sanzione in caso di violazione di un provvedimento amministrativo va trovata in una fonte normativa primaria, non potendo l’autorità amministrativa “inventare” nuovi obblighi e/o divieti, nè sanzioni, nè tanto meno importi sanzionatori particolari se tali facoltà non vengono riconosciute dalla legge e ciò in ossequio all’esistente principio di legalità in materia di “diritto punitivo”, quindi riguardante sia l’illecito penale/reato (v. art. 25/2 Cost. e art. 1 c.p.) sia l’illecito amministrativo (v. art. 1 l. 689/81) e in forza del quale sostanzialmente nessuno può essere punito per un fatto che non sia previsto dalla legge come illecito, nè con sanzioni che non siano previste dalla legge.

Facciamo un esempio semplice ma esaustivo: in caso di emanazione di un provvedimento di disciplina della circolazione stradale, es. imposizione di un divieto di sosta, emanato ai sensi dell’art. 7 C.d.S. da parte dell’autorità comunale competente, la stessa non può prevedere discrezionalmente (o, si passi il termine, “a fantasia”) la sanzione da applicare in caso di violazione del precetto, ma deve cercarla ed individuarla nella disposizione legislativa che ha previsto e disciplinato il tipo di provvedimento, e, nel caso di specie, proprio nell’art. 7 C.d.S., il quale prevede al comma 14 la applicazione di una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma di danaro da € 41 a € 168.

Col che ogni volta che viene adottato un provvedimento amministrativo in esecuzione di uno specifico dettato normativo, la norma su cui si fonda lo stesso sarà indicata e specificata nel preambolo del provvedimento stesso e precisamente nella parte motivazionale dove vengono espresse le ragioni giuridiche a fondamento della sua emanazione.

Ancora, analogamente a quanto sopra indicato, un provvedimento amministrativo non può prevedere/rendere concreti obblighi, divieti e limitazioni se non sono previsti espressamente dalla legge, nè ampliarne l’ambito di applicazione, si veda per tutti il caso giurisprundenziale risolto con sentenza del T.A.R. Emilia Romagna n° 542 del 10/11/92, la quale dichiaro illegittima una ordinanza sindacale che all’epoca impose il divieto di fumo in luoghi diversi da quelli previsti dalla L. 584/75, di fatto ampliando le ipotesi di divieto di fumo all’epoca vigenti solamente in quei locali specificamente indicati nella legge citata, in tale arresto l’organo di giustizia amministrativa ebbe a dichiarare che l’autorità amministrativa non può legittimamente estendere i divieti e le restrizioni alle posizioni individuali oltre le ipotesi e le situazioni previste dalla legge sotto pena della invalidità dei provvedimenti così assunti.

Quindi per arrivare ad individuare la sanzione da applicare al caso in trattazione si deve leggere il suo preambolo normativo e da lì si scopre che il suo fondamento giuridico risiede nell’art. 32 della L.833/78, il quale attribuisce al Ministro della Sanita’ (ora della Salute) il potere di emanare ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale e nell’art. 117 del D.L.gs 112/98 che assegna allo Stato la competenza ad emanare ordinanze contingibili e urgenti in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica che interessino più ambiti territoriali regionali.

In tal modo emerge come il provvedimento adottato rientra nella particolare categoria delle ordinanze contingibili ed urgenti, la cui violazione come risaputo costituisce illecito penale/reato ex art. 650 c.p. e pertanto l’organo di polizia/vigilanza che accertasse tale violazione dovrà procedere ai sensi dell’art. 347 c.p.p a redigere comunicazione di notizia di reato (informativa) e trasmetterla al Procuratore della Repubblica.

Con l’occasione vediamo rapidamente i tratti salienti di quel particolare tipo di provvedimento amministrativo rientrante nella categoria dell’ordinanza contingibile ed urgente.

L’ORDINANZA CONTINGIBILE ED URGENTE

Andiamo ad inquadrare l’ordinanza contingibile ed urgente a livello giuridico e normativo.
Relativamente all’ordinanza contingibile ed urgente non è superfluo ribadire che essa rientra nell’ampio genus, nella categoria del “provvedimento amministrativo” e di conseguenza a quella sono propri e appartengono tutti i caratteri che qualificano questa categoria di atto amministrativo.

Il provvedimento amministrativo possiede specifici caratteri che sono, tra gli altri:

> la TIPICITA’;

> la NOMINATIVITA’.

I provvedimenti amministrativi sono solo quelli previsti dall’ordinamento, la tipicità riguarda il contenuto del provvedimento amministrativo e la sua funzione.

Ogni provvedimento amministrativo è altresì preordinato a realizzare un interesse pubblico particolare.
Per quanto sopra quindi i provvedimenti amministrativi costituiscono un numerus clausus.

I caratteri suddetti scaturiscono dal principio di legalità dell’azione amministrativa, cioè a dire che vi deve essere la corrispondenza tra attività amministrativa e le prescrizioni di legge, quindi non sono ammessi provvedimenti amministrativi atipici (tale tipicità è parallela al principio “nullum crimen nulla poena sine lege” proprio del diritto penale).

Utilizzando la definizione che ne dà il Galateria si può dire che il principio di legalità “consiste nella esigenza che il provvedimento amministrativo, quale esplicazione di un pubblico potere, trovi il proprio fondamento positivo in previe norme di legge che ne disciplinino la competenza, la forma, i presupposti, i contenuti, gli effetti, ecc.”.

Le ordinanze di urgente necessità sono, secondo la definizione data da M.S. Giannini “provvedimenti amministrativi innominati, che si inventano e si adottano in caso di necessità allorché le norme non contemplano altro strumento d’urgenza per provvedere ad un interesse pubblico”.

Esse costituiscono espressione di un potere derogatorio libero nel contenuto, in quanto provvedimenti medianti i quali, nelle situazioni di urgente necessità, le autorità amministrative indicate dalla legge possono porre in essere statuizioni di vario contenuto.

Non si rintraccia nel nostro ordinamento giuridico una definizione normativa di ordinanza contingibile ed urgente, quindi della stessa è possibile darne una che è il frutto della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Tentiamo di fornire una definizione la più esaustiva, chiara e completa dei suoi elementi essenziali e caratteri.

Possiamo dire che l’ordinanza contingibile ed urgente è:
quel provvedimento amministrativo, adeguatamente motivato, di indole straordinaria, atipico, espressione di un potere extra ordinem, libero nel contenuto, con efficacia limitata nel tempo e che deve comunque rispettare le norme costituzionali ed i principi generali dell’ordinamento, provvedimento che autorità indicate dalla legge adottano in casi di necessità ed urgenza derivanti da eventi eccezionali ed imprevedibili al fine di evitare o eliminare ad es. pericoli per l’incolumità dei cittadini, intervenire in caso emergenze in materia di igiene e sanità pubblica, quando non è possibile provvedere con i mezzi ordinari posti a disposizione dall’ordinamento giuridico.

La attribuzione di tale potere trova il suo fondamento logico nel fatto che l’ordinamento giuridico, pur prevedendo e regolamentando moltissime situazioni di necessità ed urgenza, non può disciplinare compiutamente tutti i casi che possono presentarsi, per cui in tali situazioni ove l’autorità non fosse dotata del potere di ordinanza si troverebbe costretta a non agire per non violare il principio della legalità oppure ad agire illegittimamente per porre rimedio alle situazioni medesime.

Le ordinanze contingibili ed urgenti sono espressione di un potere straordinario ed eccezionale per il quale l’ordinamento fissa solo alcuni elementi: l’organo competente, i presupposti (necessità ed urgenza), mentre lascia all’autorità amministrativa una ampia sfera discrezionale circa la determinazione del contenuto, rappresentando così una restrizione del principio di legalità, prevedendo pertanto un genere di provvedimento ATIPICO.

Quindi esse sono provvedimenti che stanno nel principio di legalità, (perché trovano fondamento esclusivo nella legge), ma costituiscono una eccezione rispetto alla regola della tipicità e deroga al principio della riserva di legge (perché impongono obblighi non previsti per legge, si “crea” diritto), potendo altresì emanare disposizioni derogatorie della normativa vigente.

L’ordinamento conferisce il potere di ordinanze di necessità quando concorrono i presupposti della contingibilità ed urgenza, ma bisogna aggiungere che da sole la contingibilità e l’urgenza in sé non legittimano l’emissione di una ordinanza di necessità, difatti ciò può avvenire solo quando non è possibile altrimenti provvedere adeguatamente con i mezzi ordinari previsti dall’ordinamento, quindi ogni qual volta la situazione è possibile fronteggiarla con rimedi ordinari previsti per legge non è possibile far ricorso all’ordinanza contingibile ed urgente.

Altro elemento che caratterizza l’ordinanza contingibile ed urgente è la sua efficacia, difatti la efficacia nel tempo delle ordinanze contingibili ed urgenti deve essere necessariamente limitata in quanto esse o esauriscono subito i loro effetti (efficacia istantanea) o, al più, possono avere efficacia fino a quando perdura quella necessità che ne ha legittimato l’emanazione, cioè a dire, ragionando a contrario, esse non possono disciplinare situazioni, imporre obblighi, divieti e limitazioni con efficacia di lunga durata o a tempo indeterminato.

Quanto sopra è una diretta conseguenza del requisito che legittima l’emissione del provvedimento trattato, cioè la contingibilità, in quanto esso deve rispettivamente intervenire e regolamentare a causa di e quelle situazioni eccezionali ed imprevedibili e fino al momento in cui queste perdurano, non oltre.

Quindi le ordinanze contingibili ed urgenti non devono mirare a regolare casi aventi carattere di permanenza.

La trasgressione viene individuata in riferimento all’art. 650 c.p., che punisce chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica od ordine pubblico o d’igiene.

Il reato è contravvenzionale e costituisce una norma penale in bianco, in quanto la sanzione è stabilita e il precetto esiste, ma è espresso in maniera generica (obbligo di obbedienza), esso non viene stabilito effettivamente e precisamente, sarà reso concreto successivamente da un elemento futuro, il precetto si riempie di contenuto specifico solo nel momento della emanazione del provvedimento in trattazione.

LA VIOLAZIONE DELL’ORDINANZA DEL MINISTERO DELLA SALUTE DEL 28/09/12 E DELL’ORDINANZA DEL MINISTERO DELLA SALUTE DEL 02/04/13

Il divieto previsto dall’ordinanza del 04/11/08 è stato reiterato con ordinanza del Ministero della Salute del 28/09/12, ma nella stessa si è potuto riscontrare una novità, un elemento non presente nel precedente provvedimento, a differenza di quello in questo è stato previsto che in caso violazione del divieto si applicano le sanzioni previste dall’art. 25 del R.D. 2316/34, il quale recitava all’epoca (stante che la sua versione si deve alla modifica intervenuta in forza dell’art. 7 del D.L. 158/12) che “…chi vende o somministra tabacco a persone minori di anni 16 è punito con la sanzione amministrativa sino a 3 40.000. …” , affermando, tra l’altro e indirettamente in questo modo, che la violazione al precetto dell’ordinanza costituisce illecito amministrativo e non violazione penale.

Medesimo contenuto precettivo e sanzionatorio sono contenuti nell’ordinanza del Ministero della Salute del 02/04/13.
Stante così il testo del provvedimento bisogna rilevare una contraddizione.

La contraddizione risiede nel fatto che se viene adottata una ordinanza contingibile ed urgente significa che l’ordinamento giuridico non dispone di una norma che possa essere utile a tutelare l’interesse o bene giuridico coinvolto, ma allora come è possibile il richiamo, seppur solo per l’aspetto sanzionatorio, ad una esistente norma giuridica? Se di essa può essere applicata la sanzione significa che si riconosce che ne è stato violato il precetto che ne costituisce l’ambito di applicazione?, Ma se così fosse allora non sarebbe necessario prevedere uno specifico provvedimeno ad hoc, perchè la norma abbraccerebbe già la situazione che si vuole disciplinare.

Delle due l’una: o non vi era/è la necessità di adottare un provvedimento che prevvedesse/preveda tale divieto perchè esso è già rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 25 del R.D. 2316/34 o la necessità esiste perchè il divieto non rientra nell’ambito di applicazione del suddetto art. 25.

L’ipotesi che giustifica la previsione, ragione molto pratica appare essere quella che si voglia punire il comportamento vietato con la stessa sanzione della disposizione citata ritenendo il divieto “somigliante” a quello dell’art. 25 R.D. 2316/34, volendola quindi applicare ad un caso simile per analogia.

Oltre a ciò si può capire anche dal punto di vista della afflittività la preferenza per le sanzioni previste dall’art. 25 R.D. 2319/34 piuttosto che per quelle previste dall’art. 650 c.p., difatti al di là del nomen iuris e del fatto che “istintivamente” appare o sembra più grave la commisisione di un reato rispetto alla commissione di un illecito amministrativo, a livello di funzione general-preventiva e retributiva della sanzione risulta più efficace la minaccia derivante dall’art. 25 R.D. 2316/34 piuttosto che quella derivante dall’art. 650 c.p., infatti l’art. 650 c.p. prevede che il fatto è punito l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a € 206, mentre l’art. 25 R.D. 2316/34 prevede la applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da € 250 a €1.000 e se il fatto è commesso più di una volta la applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da € 500 a € 2.000 euro e la sospensione, per tre mesi, della licenza all’esercizio dell’attività; se si pensa poi che per la ipotesi derivante dalla applicazione dell’art. 650 c.p. è applicabile la oblazione prevista dall’art. 162-bis c.p. o il procedimento per decreto penale di condanna ex art. 459 c.p.p. con possibilità del P.M. di chieder l’applicazione di una pena diminuita sino alla metà rispetto al minimo edittale, allora si capisce che costituisce maggiore deterrente la conseguenza sanzionatoria dell’art. 25 R.D. 2316/34.

Ma a questo punto dobbiamo chiederci se ciò giuridicamente è possibile e cioè se è possibile una applicazione analogica di una norma sanzionatoria a casi simili e la risposta è risaputa: no, stante la vigenza del già citato principio di legalità che regge il diritto punitivo e nell’ambito del quale è possibile indicare il corollario del divieto di analogia.

Siamo di fronte ad una situazione di “corto circuito” dalla quale si esce riconoscendo che il provvedimento non può prevedere una sanzione in caso di sua violazione uguale a quella indicata per altre fattispecie sanzionatorie, anche se e solo perchè il nuovo divieto imposto assomiglia ad altro esistente o perchè lo si vuole trattare a livello sanzionatorio allo stesso modo e con ciò giustificando la estensione sanzionatoria alla nuova fattispecie.

Ma perchè possiamo comunque dire che l’ambito di applicazione dell’art. 25 R.D. 2316/34 non ricomprende il divieto di vendita di sigarette elettroniche con presenza di nicotina?

L’art. 7 del D.L. 158/12 ha modificato l’art. 25 del R.D. 2316/34 prevedendo il divieto di vendita e somministrazione di “prodotti del tabacco” ai minori di anni 18, mentre la precedente versione prevedeva il divieto riferito al “tabacco”.

Ma cosa si intende per e cosa sono i “prodotti del tabacco”, vi rientra la nicotina?

Per avere risposta bisogna leggere l’art. 2/1 del D.L.gs. 184/03 “Attuazione della direttiva 2001/37/CE in materia di lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco, il quale fornisce una serie di definizioni, prevedendo alla lett. a) che i “prodotti del tabacco” sono: “i suoi prodotti, di seguito denominati: «prodotti», destinati ad essere fumati, fiutati, succhiati o masticati, che siano, anche parzialmente, costituiti da tabacco, geneticamente modificato o no” e si rileva che la nicotina non rientra nella categoria, infatti essa è citata separatamente alla lett. c), da ciò consegue che la violazione dell’art. 25 del R.D. 2316/34 può configurarsi solo in relazione alla vendita o somministrazione esclusivamente dei prodotti indicati alla lett. a) sopra indicata e non di nicotina o di prodotti che la contengano.

E’ per questo che allora risulta necessario, se si vuole vietare la vendita del prodotto in discussione, o che intervenga il legislatore o si utilizzino, in mancanza di un tale intervento, gli strumenti giuridici a disposizione appositamente previsti per intervenire in casi di “vuoti normativi” e questo è proprio l’ordinanza contingibile ed urgente, cosa che il Ministero ha correttamente fatto.

A sommesso avviso dello scrivente invece non appare corretto giuridicamente il richiamo ad una norma esistente seppur solo per il fine di estenderne l’efficacia sanzionatoria a fattispecie non disciplinate dalla stessa, costituendo tale modalità violazione del principio di legalità.

16 aprile 2013

Dott. Giovanni Paris

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