Etichettatura dell’olio extravergine d’oliva: avvio della procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti dell’Italia.
Come avevamo anticipato in un articolo da noi pubblicato nell’Ottobre 2007, relativo all’obbligo previsto dal Decreto 9 Ottobre 2007 del Ministero per le Politiche agricole, di indicare nell’etichettatura dell’olio vergine ed extravergine di oliva la provenienza delle olive impiegate e l’ubicazione del frantoio, la risposta dell’Unione Europea non si è fatta attendere, visto che è stata avviata la procedura di infrazione contro il nostro Paese.
“In tutti i paesi europei esistono sistemi di etichettatura volontaria. Riteniamo illegale l’imposizione di un sistema obbligatorio”, ha commentato nei giorni scorsi a Bruxelles Michael Mann, portavoce della commissaria Ue per l’agricoltura Mariann Fischer-Boel. Il principio cardine del Decreto Ministeriale dell’Ottobre 2007, come si ricorderà, riguarda l’obbligo, per i produttori, di riportare nell’etichetta l’indicazione della zona geografica di coltivazione delle olive nonché il nome dello Stato membro o il Paese terzo in cui la coltivazione e’ effettuata. Viene evidenziato che nel caso in cui le olive utilizzate non provengano da un unico stato membro, nell’etichetta deve essere indicato l’elenco di tutti gli Stati o Paesi terzi nei quali le olive sono state coltivate, in ordine decrescente per quantità utilizzate.
L’obbligo di indicazione della provenienze delle olive impiegate, era stato riproposto dopo che l’Unione Europea aveva preteso (e ottenuto) che il Governo italiano abrogasse l’articolo 1-ter della Legge 204/2004 che prevedeva espressamente tale incombenza per i produttori di olio vergine ed extravergine di oliva.
Ad avviso di chi scrive, il provvedimento italiano – inteso come obbligo e non come facoltà – è importante, in quanto attraverso esso si impedisce di ingannare i consumatori vendendo come italiano un olio ricavato, invece, da miscugli diversi e soprattutto da olive provenienti da altri Paesi, come Grecia, Tunisia e Spagna. Un fenomeno, questo, molto diffuso e che ogni anno provoca al nostro settore olivicolo un danno superiore ai 600 milioni di euro.Negli ultimi anni nei nostri mercati è possibile trovare olio straniero sempre più in abbondanza. Oggi su tre bottiglie due sono di olio estero, ma i consumatori italiani, senza una precisa informazione, rischiano di acquistarle convinti che si tratti di un prodotto nazionale, quindi genuino, sicuro e controllato.Non è, quindi, una misura, come sostiene la Commissione esecutiva, in contrasto con il regime della concorrenza.
E’ da evidenziare che senza un’etichetta chiara e trasparente e soprattutto in mancanza dell’indicazione di origine, per l’olio d’oliva «made in Italy», oltre al danno economico rilevante, significa avere pesanti ripercussioni anche per l’immagine del nostro prodotto sui mercati mondiali.Augurandoci che gli sforzi del nostro Ministero tesi a salvaguardare il “Made in Italy” vadano a buon fine, forse è anche il caso di incrociare le dita per un’altra circostanza sfuggita a parecchi, e cioè che diversi prodotti alimentari per i quali l’Unione europea aveva vietato al nostro Paese di obbligare l’indicazione della provenienza in etichetta, di fatto hanno conservato tale obbligo (grazie al “sotterfugio” di imporlo nascondendolo nella miriade di leggi e leggine che disciplinano i vari settori) per cui se tale circostanza venisse scoperta ci troveremmo sicuramente in guai seri a causa delle procedure di infrazione che verrebbero sicuramente aperte nei confronti del nostro Governo. Piero Nuciari
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