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Olio di oliva: probabile reintroduzione delle indicazione dello stabilimento di produzione in etichetta e nuove sanzioni

L’articolo 38 del regolamento (UE) n. 1169/2011, in materia di etichettatura degli alimenti, come il lettore ricorderà, ha disposto il divieto per tutti gli Stati membri, di adottare e di mantenere norme nazionali in contrasto con le materie armonizzate dal regolamento stesso.
A causa di questa disposizione, dal 13 dicembre 2014 l’obbligo di indicare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione alimentare per i prodotti realizzati e commercializzati in Italia, non è più in vigore, nonostante il Governo (*) abbia espresso più volte la volontà di intervenire.

(*)Vale la pena ricordare che è stato lo stesso Governo ad aver fatto cadere l’obbligo della sede dello stabilimento in etichetta, già vigente in Italia dal lontano 1992, per volontaria omissione di notifica della relativa norma (Fonte: www.ilfattoalimentare.it)

Il regolamento (UE) n. 1169/2011, di cui abbiamo già parlato in precedenti articoli, ha di fatto eliminato nella UE la facoltà di mantenere le disposizioni nazionali che impongono l’indicazione dello stabilimento di fabbricazione o di confezionamento per la loro produzione nazionale, precedentemente prevista dalla direttiva 2000/13/CE.

Un danno non indifferente per la nostra qualità alimentare e, soprattutto, per i consumatori.

La buona notizia è che il Consiglio dei Ministri, il 10 Settembre scorso, ha approvato uno schema di disegno di legge che all’art.4 contiene la delega per la reintroduzione nel nostro ordinamento dell’indicazione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione o confezionamento per i prodotti alimentari e per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento n. 1169/2011 in materia di etichettatura.

Anche se sono tanti i dubbi sulla riuscita dell’iniziativa del Governo Italiano, visto che il divieto di indicazione dello stabilimento di produzione previsto nel Reg. UE n. 1169/2011 era stato dettato dagli interessi delle lobbies che, di fatto, governano l’Europa, l’obbligo di indicazione della sede dello stabilimento riguarderà gli alimenti prodotti in Italia e destinati al mercato italiano.

Allo stesso tempo partirà a breve la notifica della norma alle autorità europee per la preventiva autorizzazione.

Il giallo (e, avendo a che fare con Renzi, la fregatura!)

Leggendo il comunicato stampa MIPAAF, del 10 Settembre 2015, non si può non notare quanto contenuto nella dichiarazione del Ministro Martina: [omissis]…” Allo stesso tempo partirà a breve la notifica della norma alle autorità europee per la preventiva autorizzazione.[omissis]”

In realtà – come scrive l’autorevole Avv. Dario Dongo su www.ilfattoalimentare.it –
“ l’ufficio legale del ministero ben sa e tutti possono verificare nel citato regolamento (leggi articolo) che non è richiesta nessuna “autorizzazione preventiva”. È sufficiente una notifica, una solida motivazione (che non manca, come abbiamo già più volte evidenziato), e una voce grossa per sostenere la posizione rispetto agli attacchi che sicuramente proverranno dai funzionari europei e dalle delegazioni governative più sensibili al potere delle lobby delle “10 grandi sorelle” del cibo. Perché allora si tira fuori questa storia della “autorizzazione preventiva”, forse si vuole preparare il terreno per una scusa del tipo “volevamo tanto volare, ma la Commissione europea ci ha tarpato le ali? “

Al 99%, nonostante gli ottimismi ipocriti della nostra classe politica, il risultato finale sarà, come al solito, un nulla di fatto.

Ad avviso di chi scrive, l’unica chance a favore del Governo italiano per ottenere qualche risultato nella trattativa, è costituita dall’articolo 39 del Reg. UE n. 1169/2011, che se interpretato e motivato con intelligenza dai nostri politici, potrebbe essere il vero “cavallo di Troia” che potrebbe consentire di riappropriarci di quello che già avevamo.
Il primo comma del suddetto articolo, infatti, stabilisce che:
”Oltre alle indicazioni obbligatorie di cui all’articolo 9, paragrafo 1, e all’articolo 10, gli Stati membri possono adottare, secondo la procedura di cui all’articolo 45, disposizioni che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie per tipi o categorie specifici di alimenti per almeno uno dei seguenti motivi:

  1. a) protezione della salute pubblica;
  2. b) protezione dei consumatori;
  3. c) prevenzione delle frodi;
  4. d) protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni d’origine controllata e repressione della concorrenza sleale.”

Il secondo comma prevede che gli Stati membri: “possono introdurre disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza.
Al momento di notificare tali disposizioni alla Commissione, gli Stati membri forniscono elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.”

Per la cronaca, nella stessa seduta del 10 Settembre scorso, il CdM ha anche approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo recante disposizioni sanzionatorie per la violazione del regolamento (UE) n. 29/2012 della commissione, del 13 gennaio 2012, relativo alle norme di commercializzazione dell’olio d’oliva e del regolamento (CEE) n. 2568/91 relativo alle caratteristiche degli oli d’oliva e degli oli di sansa d’oliva, nonché ai metodi ad essi attinenti.
Nello specifico con l’intervento, che si affianca a quello già realizzato con la legge 9 del 14 gennaio 2013, sono state inserite le sanzioni riguardanti l’indicazione obbligatoria dell’origine, nonché quelle relative alla leggibilità delle informazioni in etichetta (origine e denominazione di vendita).

Piero Nuciari

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