“REACH”: Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche
Dal 1 Gennaio 2007 è entrato in vigore in tutti gli stati membri delle UE il Regolamento Reach, approvato definitivamente il 13 Dicembre scorso.
Nota
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Per la gran parte dei lettori questa parola non significherà sicuramente nulla, ma in termini ambientali, di sviluppo sostenibile e di salute, industriali, occupazionali e di sostegno alla ricerca più qualificata, costituisce (o dovrebbe costituire) una delle più grandi riforme mai fatte in Europa. Il provvedimento realizza infatti una drastica semplificazione normativa visto che fonde una quarantina di direttive, rivelatesi inefficaci, in un unico regolamento immediatamente applicabile in tutti gli stati membri ed ispirato ad un radicale principio riformatore: l’inversione dell’onere della prova.
D’ora in poi sarà obbligo del produttore (o importatore) documentare la possibilità di un uso sicuro delle sue sostanze, nei processi produttivi come nei prodotti di consumo.
A tal fine a livello europeo è stata costituita un’Agenzia che gestirà un enorme database contenente tutte le informazioni relative alle varie sostanze chimiche.
Si calcola che a regime, nel 2018, le sostanze registrate saranno circa 30.000, contro le poche centinaia finora valutate.
Tutto questo al fine di individuare i prodotti più pericolosi presenti in tutte le sostanze chimiche ad uso comune e non, per consentirne o negarne l’autorizzazione, restringerne o meno l’uso, e sostituirli via via con altri più sicuri.
Leggendo gli atti preparatori si può dire che la nascita del Regolamento REACH non è stata indolore;
troppi erano gli interessi in gioco tutelati dai vari politici di turno e dalle multinazionali!
Alla fine, a seguito di estenuanti trattative, i politici sono riusciti a trovare un punto di unione e a mettere d’accordo il Parlamento e i 25 Governi interessati.
Il più significativo dei risultati raggiunti dal regolamento è la condivisione obbligatoria dei dati e dei costi necessari per la registrazione della stessa sostanza da parte dei diversi operatori che la producono. La conseguenza sarà il notevole abbassamento dei costi (forse del 24% dell’onere complessivo) e una minore burocrazia, a totale vantaggio delle imprese più piccole e con l’effetto aggiuntivo di una significativa riduzione dei test sugli animali.
Altro problema, risolto dopo estenuanti trattative, riguarda l’autorizzazione relativa al trattamento delle sostanze più pericolose.
Infatti le multinazionali chimiche hanno esercitato pressioni affinché venissero autorizzate circa 2500 sostanze pericolose se il produttore fosse stato in grado di dimostrare la possibilità di un loro “adeguato controllo”. Alla fine l’accordo raggiunto ha visto scendere a circa 200 il numero delle sostanze interesse “all’adeguato controllo”, con l’impegno – per le industrie interessate – di presentare un piano di sostituzione nel momento in cui si dovessero presentare alternative idonee.
Laddove queste ultime non dovessero manifestarsi entro tempi ragionevoli, l’accordo prevede lo sviluppo di piani di ricerca orientati nella stessa direzione.
In sintesi, per quanto imperfetto, questo testo costituisce un primo passo nella giusta direzione, quella di una “chimica verde” che eliminerà progressivamente i prodotti nocivi per la salute.
Per correttezza di informazione è da aggiungere che in Italia il regolamento Reach è stato invece duramente criticato dalle associazioni per la promozione della salute, la tutela dell’ambiente, dei consumatori, degli igienisti industriali, dei medici, delle lavoratrici e dei lavoratori, perché giudicato troppo pieno di falle e scappatoie che consentirebbero alle industrie chimiche di “aggirare” sistematicamente le varie disposizioni previste.
Nota Riguardo al criterio che consentirà alle industrie chimiche di ottenere l’autorizzazione di continuare a vendere le sostanze basandosi sul cosiddetto “adeguato controllo”, viene evidenziato nei vari comunicati che “ la sua applicazione richiede che sia dimostrato per tutti coloro che producono o utilizzano la sostanza che l’esposizione rimanga al di sotto del valore soglia di sicurezza”. E ancora: “Le scappatoie e le norme di auto-regolamentazione dei produttori introdotte nel REACH lo rendono estremamente vulnerabile a successive interpretazioni strumentali: per esempio, non saràgarantito che le informazioni di terzi in merito alla disponibilità di alternative più sicure venganoprese in considerazione dalle industrie.Il 60% delle sostanze chimiche, che rientrano nel campo di applicazione di REACH, in quantoprodotte o importate in quantità inferiori a 10 tonnellate l’anno, potranno comunque circolare prive di dati di sicurezza significativi”. Altra nota dolente evidenziata dalle associazioni: |
Oltre a questo primo giudizio tecnico, le associazioni hanno anche evidenziato, attraverso i media, che in Italia permane una sottovalutazione, sia politica sia industriale, sull’importanza dei nuovi adempimenti previsti dal REACH e, quindi, annunciano che si batteranno per ottenere una piena attuazione del regolamento, affinché il nostro Paese “ recuperi i ritardi accumulati ed attivi tutte le iniziative a tal fine necessarie, compresa l’istituzione di un apposito Organismo nazionale che sappia dialogare con l’Agenzia europea e garantire informazione agli utenti, assistenza alle imprese e vigilanza e controllo”.
In conclusione, come scritto mesi fa nell’articolo relativo alla normativa italiana sulla data di scadenza dei prodotti cosmetici (quando evidenziavamo che nonostante la nostra legislazione vietasse l’uso di sostanze ritenute cancerogene, quella europea, gerarchicamente sovraordinata , non le vietava espressamente, concedendo quindi una scappatoia legale alle industri chimiche italiane inadempienti), anche questa volta possiamo concludere l’articolo con il noto proverbio: “fatta la legge, trovato l’inganno!”.
Piero Nuciari
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