Alcune considerazioni sulle “stufe radianti a fungo” dei Pubblici Esercizi
Da qualche anno a questa parte, si è assistito al proliferare nei pubblici esercizi, nelle sagre, nei cinema all’aperto e, addirittura, all’interno delle chiese, delle cosiddette “stufe radianti a fungo” alimentate a Gas propano.
In molti avranno apprezzato il calore emanato da questi apparecchi, in pochi, invece, si saranno posti la domanda se questi apparecchi sono sicuri o meno.
Specie nell’ultimo anno, con l’entrata in vigore della legge che vieta il fumo nei locali pubblici, la maggioranza dei bar e ristoranti, trovando antieconomiche le modifiche da apportare ai locali per favorire i fumatori, hanno ripiegato nella creazione di ambienti esterni, dotati di un sistema di riscaldamento realizzato con “stufe radianti a gas” nei modelli così detti “a fungo” nel cui basamento è installata una bombola del peso di 15-20 kg. La media degli apparecchi da riscaldamento installati in ogni locale, va da 2 a 4 unità, a seconda delle dimensioni dell’ambiente.
In genere l’uso di tali dispositivi è consentito all’esterno, dove in sostanza la presenza di alcuni bruciatori e di un equivalente numero di bombole di GPL non comporta sostanziali problematiche di sicurezza, sia pure fatte salve le necessarie valutazioni. Le cose cambiano quando tali dispositivi vengono usati in ambienti chiusi, e cambiano ulteriormente in peggio quando, come talvolta avviene, tali ambienti ospitano un numero rilevante di persone e sono locali di pubblico spettacolo. In tal caso è fondamentale il rispetto delle vigenti norme di sicurezza ed antincendio, che sono in funzione del numero di “funghi” installati e del quantitativo globale di GPL presente.
Relativamente a questo genere di stufe, possiamo dire che un buon apparecchio, per rispondere ai requisiti di sicurezza, dovrebbe essere costruito in acciaio inox con componenti (viti, carrozzeria, etc.) dello stesso materiale e verniciata a polvere epossidica.
Deve essere munito di marchio CE.
E’ da evidenziare che il marchio CE per i prodotti da riscaldamento a gas deve essere confermato da un istituto o ente accreditato europeo (es. Istituto IMQ in Italia , il TUV/GS in Germania, etc.).
Per il mercato europeo, la certificazione dei prodotti è a carico del costruttore, secondo le procedure previste per la marcatura CE (redazione del fascicolo tecnico, dichiarazione di conformità, apposizione della marcatura CE sul prodotto ecc.). E’ comunque facoltà del costruttore avvalersi di laboratori o Enti di certificazione esterni per l’esecuzione di particolari prove e verifiche di conformità o per l’ottenimento di marchi di omologazione nazionali in aggiunta alla marcatura CE.
Le normative che disciplinano il settore sono: la direttiva CEE 90/396 (*), entrata in vigore in Italia il 1° gennaio 1996, la direttiva CEE 93/68 (**) e la legge nazionale 1083/71.
Dal 1° gennaio 1996, in Italia, non è più consentita l’immissione in commercio di apparecchi e dispositivi non conformi alle suddette Direttive.
La direttiva 90/396 è stata recepita dal Parlamento italiano con il D.P.R. 15.11.1996 n. 661 (Regolamento per I’attuazione della direttiva 901396/CEE concernente gli apparecchi a gas), ed è divenuta operativa con la circolare del Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato del 24 aprile 92, la quale ha stabilito la conformità degli apparecchi muniti della marcatura CE alle prescrizioni della legge nazionale 1083/71.
In base a tale Direttiva, i fabbricanti delle apparecchiature alimentate a gas, possono avere l’attestazione di conformità, solo attraverso la certificazione di un Ente terzo (designato dallo Stato membro e Terzo alla Commissione CE e agli altri Stati membri). Non è prevista l’autocertificazione.
(*) Direttiva successivamente modificata dall’art. 10 Direttiva CEE/CEEA/CE n° 68 del 22/07/1993
(**) L’art. 10 della direttiva 93/68/CEE ha preso in considerazione la direttiva 90/396/CEE introducendo nuove disposizioni sul marchio, chiamato a partire dal 1° gennaio 1995 “marcatura CE” (permettendo però la vecchia denominazione di “marchio CE” fino al 31 dicembre 1996) e altre modifiche da tenere presenti in alcune delle procedure di attestazione della conformità
A titolo informativo, si riporta la descrizione della procedura per la marcatura CE. L’azienda chiede l’esame Ce del tipo, mette a disposizione l’apparecchio e la documentazione relativa al progetto.
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Le stufe radianti a fungo vengono collocate dall’art. 1, comma “a”, del D.P.R. 661/96 nell’ambito dell’applicazione del D.P.R. medesimo.
L’allegato I dello stesso, prevede che I’apparecchio immesso sul mercato deve essere corredato di istruzioni tecniche, in lingua italiana, elaborate per I’installatore e per I’utente;
Al punto 1.2.1, dell’allegato I, viene inoltre puntualizzato che l’istruzione tecnica elaborata per
l’installatore ai fini di una utilizzazione sicura dell’apparecchio deve contenere:
– il tipo di gas utilizzato;
– l’areazione dei locali richiesta;
– le condizioni di evacuazione dei prodotti di combustione.
Il punto 1.2.2, invece, riporta le istruzioni per l’uso e la manutenzione elaborate per l’utente, le quali devono contenere tutte le informazioni necessarie per l’utilizzazione sicura, con evidenziate le eventuali restrizioni in materia di utilizzazione.
Al punto 1.2.3 viene altresì evidenziato che le avvertenze che figurano sull’apparecchio e sul suo imballaggio devono evidenziare in modo non ambiguo il tipo di gas e le eventuali restrizioni per quanto riguarda I’uso; in particolare, la restrizione secondo la quale si deve installare I’apparecchio unicamente in locali sufficientemente aerati.
Altro punto da evidenziare è il 3.2.3, nel quale viene prescritto che gli apparecchi destinati ad essere utilizzati nei locali devono essere attrezzati di uno specifico dispositivo che eviti un accumulo pericoloso di gas non bruciati
Nel caso in cui tali apparecchi non sono provvisti di tale dispositivo, devono essere utilizzati esclusivamente in locali con una aerazione (*) sufficiente per evitare un accumulo pericoloso di gas non bruciato. (*) Le condizioni sufficienti di aerazione sono stabilite dalle norme (INI-CIG di cui alla Legge 1083/1971).
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Al punto 3.6 e successivi viene prescritto che l’apparecchio non deve presentare temperature pericolose per le parti soggette a possibile contatto per l’utenza.
Il D.M. 30.10.1981, recante prescrizioni di sicurezza per l’uso di apparecchi a gas funzionanti senza scarico esterno dei prodotti di combustione, all’art. 1 individua quali apparecchi e per quale portata termica possono essere installati senza condotto di scarico.
Questi apparecchi individuati dalla normativa, hanno una portata termica di 3,49 KW (3000 Kcal./h), ben lontana dalla potenza erogata dalle stufe a fungo commercializzate nel nostro Paese, la cui potenza varia da 7 KW a 13 KW (valori ben maggiori da quelli previsti dal D.M. 30.10.1981
per essere utilizzati, pur con tutte le cautele, all’interno di locali).
In pratica le stufe a fungo, a causa della loro potenza di riscaldamento, non risultano regolamentate da nessuna specifica normativa nazionale né europea.
L’unica cosa certa, è che debbono risultare conformi alla norma UNI EN13410:2003, che disciplina gli apparecchi di riscaldamento a gas sospesi a irraggiamento ed i requisiti di ventilazione per l´uso in locali non domestici. Questa norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 13410 (edizione agosto 2001) e tiene conto dell´errata corrige del luglio 2002 (AC:2002). La norma stabilisce i requisiti per la ventilazione dei locali per uso non domestico, dove siano installati e funzionanti apparecchi di riscaldamento alimentati a gas conformi alla EN 416-1 o alla EN 419-1.
E’ comunque da evidenziare che tale norma si applica solo agli apparecchi di tipo A (apparecchi di portata termica limitata, caratterizzati dal fatto che prelevano l’aria, necessaria alla combustione,
direttamente nel locale dove sono installati ed evacuano i prodotti della combustione direttamente
nello stesso ambiente)
Un’altra normativa che potenzialmente potrebbe essere applicata a questo genere di apparecchi, è il D.P.R. 303/1956.
Durante la combustione di queste stufe, infatti, si originano fumi contenenti in linea teorica anidride carbonica e vapore acqueo, ma che in particolari condizioni possono evidenziare anche presenza di monossido di carbonio ( CO ) o di prodotti incombusti.
L’art. 9, comma 1, del suddetto DRP, modificato dal Decreto Legislativo 626/94, prevede a riguardo che ” ……i lavoratori dispongano di aria salubre in quantità sufficiente…..” ;
il successivo art. 12, aggiunge che ” gli apparecchi a fuoco diretto destinati al riscaldamento dell’ambiente nei locali chiusi di lavoro….. devono essere muniti di condotti di fumo…. ed avere tiraggio sufficiente per evitare la corruzione dell’aria con i prodotti della combustione….”
Per ultimo, un potenziale problema di sicurezza che potrebbe essere accertato a carico dei detentori di questi apparacchi da riscaldamento, riguarda il deposito degli stessi, durente le ore notturne, all’interno dei locali dell’esercizio commerciale.
Dal punto di vista della sicurezza, laddove venissero utilizzati diversi apparecchi, si potrebbe configurare la costituzione di un deposito irregolare ed abusivo di GPL, in violazione anche della L. 1083 del 1971 e, soprattutto, della normativa sulla prevenzione incendi. L’art. 4 della Legge 26 luglio 1965, n. 966, avente come oggetto “Disciplina delle tariffe, delle modalità di pagamento e dei compensi al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per i servizi a pagamento” stabilisce inoltre che “[omissis] … l’obbligo di richiedere le visite ed i controlli ricorre: quando vi sono modifiche di lavorazione o di strutture; nei casi di nuova destinazione dei locali o di variazioni qualitative e quantitative delle sostanze pericolose esistenti negli stabilimenti o depositi, e ogni qualvolta vengano a mutare le condizioni di sicurezza precedentemente accertate. Il Comando provinciale dei vigili del fuoco, eseguiti i controlli e accertata la rispondenza degli impianti alle prescrizioni di sicurezza, rilascia un <<certificato di prevenzione>> che ha validità pari alla periodicità delle visite”.
Piero Nuciari
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