Artigiani del settore alimentare: orario attività e consumo sul posto
Orario dell’attività
L’art. 4, comma 2, lett. f) del D.Lgs. 114/98, stabilisce che il decreto “Bersani” sul commercio non si applica “ [ …omissis] agli artigiani iscritti nell’albo di cui all’articolo 5, primo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443, per la vendita nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti dei beni di produzione propria, ovvero per la fornitura al committente dei beni accessori all’esecuzione delle opere o alla prestazione del servizio [omissis]”; il successivo art. 13, inoltre, prevede che le disposizioni sull’orario di vendita non si applicano a “[omissis] le gelaterie e gastronomie; le rosticcerie e le pasticcerie; gli esercizi specializzati nella vendita di bevande [omissis] “ esonerando esplicitamente le suddette attività artigianali dal rispetto dell’orario di vendita stabilito per le attività commerciali.
Analizzando attentamente l’elenco, resterebbero fuori le pizzerie artigianali per la vendita da asporto, i kebab e qualche altra attività.
Secondo il parere di esperti del settore, pubblicati su internet, sembrerebbe che per la disciplina degli orari delle attività artigianali alimentari, sia applicabile in maniera estensiva l’art. 54, punto d) del DPR n. 616/71, che attribuisce ai comuni le funzioni amministrative relative alla fissazione, sulla base dei criteri stabiliti dalla regione, degli orari di apertura e chiusura dei negozi, dei pubblici esercizi di vendita e consumo di alimenti e bevande, nonché degli impianti stradali di distribuzione dei carburanti, esclusi gli impianti autostradali, ed alle relative sanzioni amministrative.
A tal proposito è da evidenziare che la giurisprudenza appare alquanto contraddittoria.
Per fare qualche esempio:
il T.A.R. Liguria, nella sentenza del 27 ottobre 1986, n. 509, ha precisato che l’art. 54, lett. d), del d.P.R. n. 616/71 ha attribuito direttamente ai comuni il potere di fissare gli orari degli esercizi di vendita e di consumo di alimenti e bevande e nessun fondamento ha il ritenere il settore delle attività artigianali con vendita al dettaglio escluso dall’ambito di trasferimento operato dal citato art. 54, avendo questa norma inteso regolamentare in via generale la competenza in materia di orario per quanto riguarda la distribuzione al dettaglio;
· il T.A.R. Piemonte, nella sentenza 3 marzo 1988, n. 74., ha invece ritenuto non applicabile l’art. 5 della legge n. 558/71 agli artigiani che vendono i loro prodotti ma solamente agli artigiani che in possesso di autorizzazione commerciale pongono in vendita anche prodotti non di loro produzione.
Nota: L’art. 5 della Legge 558/71, ora abrogato dal D.Lgs. 114/98, stabiliva che :
“Gli esercenti la vendita al pubblico, le cooperative e gli artigiani con attività di vendita al dettaglio …[omissis] devono rispettare l’orario determinato dalla Regione inteso come facoltà e non come obbligo di apertura…[omissis]”
Navigando in internet è inoltre possibile constatare che nonostante le incertezze sopra elencate, parecchie amministrazioni comunali hanno disciplinato con apposito atto, anche gli orari di attività degli esercizi artigianali del settore alimentare, equiparandoli a quelli delle attività commerciali alimentari.
La cosa che colpisce, leggendo le varie Ordinanze, è che spesso vi è una forzatura della norma, quasi a voler colmare il vuoto legislativo che purtroppo esiste.
L’art. 54, lett. d), del d.P.R. n. 616/71, infatti, non cita assolutamente le attività artigianali, visto che stabilisce che compete al comune “la fissazione, sulla base dei criteri stabiliti dalla regione, degli orari di apertura e chiusura dei negozi, dei pubblici esercizi di vendita e consumo di alimenti e bevande, nonché degli impianti stradali di distribuzione dei carburanti, esclusi gli impianti autostradali, ed alle relative sanzioni amministrative.”
Attualmente, l’unica norma nazionale che ad avviso di chi scrive consentirebbe al Comune di adottare il provvedimento di regolamentazione degli orari delle suddette attività è il DECRETO 5 agosto 2008, avente come oggetto “Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione”.
Anche se regolamentare gli orari delle attività artigianali del settore alimentare in questo modo potrà sembrare lo stesso una forzatura, è da dire che parecchi comuni di un certo rilievo in campo nazionale, tra cui Asti, lo hanno fatto.
E’ da segnalare che negli ultimi tempi la risposta al problema sta invece arrivando dalle singole regioni, per i poteri loro concessi dalla legge costituzionale n. 3/2001, che ha modificato il titolo V della Costituzione.
Per fare un esempio, il 21 aprile scorso il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato la norma regionale che disciplina i kebab e ogni altra attività artigianale di vendita di prodotti alimentari destinati all’immediata consumazione. La nuova legislazione regionale prevede che le imprese artigiane di produzione e trasformazione alimentare, che effettuano vendita diretta al pubblico per l’immediata consumazione, potranno svolgere tale attività solo se accessoria alla produzione e alla trasformazione. Inoltre è previsto che l’attività dovrà essere svolta nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, di sicurezza e di inquinamento acustico e nel rispetto delle prescrizioni sugli orari di apertura alle quali già deve attenersi ogni altro esercizio di somministrazione alimentare. Tali attività artigianali saranno inoltre tenute a pubblicizzare l’orario di apertura e avranno anche l’obbligo di esporre l’elenco delle materie prime utilizzate specificando i prodotti eventualmente congelati.
La somministrazione dei prodotti artigianali
L’art. 5 della legge n. 443/85 dispone che per la vendita nei locali di produzione, o ad essi contigui, dei beni di produzione propria, ovvero per la fornitura al committente di quanto strettamente occorrente all’esecuzione dell’opera o alla prestazione del servizio commessi, non si applicano alle imprese artigiane iscritte all’albo le disposizioni previste dalla disciplina generale del commercio.
Il D. L.vo 31/03/98 n. 114, all’art. 4, comma 2, lett. f), esclude espressamente l’applicazione delle norme della disciplina sul commercio agli artigiani iscritti all’albo delle impresa artigiane per la vendita nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti, di beni di produzione.
L’art. 1 della L. 287/91 definisce esercizio pubblico a aperto al pubblico il luogo nel quale il prodotto viene venduto al cliente affinché questi lo consumi sul posto all’interno di un locale o di una superficie coperta appositamente attrezzata.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17703, del 12/12/2002, ha chiarito che: “Ai fini della qualificazione come artigiana, e della conseguente iscrizione al relativo albo, dell’impresa di produzione e vendita al pubblico di alimenti e bevande (nella fattispecie chiosco per la produzione e vendita di piadine romagnole), occorre che la vendita non sia finalizzata al consumo sul posto, nel senso che gli acquirenti non devono consumare i prodotti “nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico all’uopo attrezzata” (con il che, viceversa, l’attività rientrerebbe in quelle commerciali, ai sensi dell’art. 1 L. 287/91), e, dunque, decisiva é l’assenza di “impianti ed attrezzature per consentire agli acquirenti di consumare sul posto i prodotti acquistati”, indicati invece dall’art. 32 dm 04/08/1988, come requisiti dell’alternativa attività commerciale”.
Il problema rimane quindi quello di individuare il confine che separa la vendita dalla somministrazione, tenendo presente che la differenza sostanziale sta nel predisporre “apposite attrezzature” per consentire il consumo sul posto, attrezzature che a volte sono poste “casualmente” anche all’esterno dell’attività, come panchine, sedili, etc.
In questi casi rimane molto difficile per gli Organi addetti al controllo, stabilire il confine tra l’attività di somministrazione e quella artigianale, visto che la norma (Art. 1, comma 1, L. 287/91) presuppone (mi ripeto) un necessario collegamento funzionale fra “l’attrezzatura” ed “il consumo sul posto” di alimenti e bevande ( il che implica in concreto l’utilizzo di tavolini, sedie, posaterie, tovaglioli, personale addetto ai clienti e di quant’altro occorra ai fini specifici del servizio ad hoc al tavolo).
A rigor di logica per “apposita attrezzatura” dovrebbe intendersi quella costituita da oggetti o strutture che vanno dal bicchiere in vetro ai tavoli e alle sedie, non indispensabili perché si attui la sola vendita del prodotto, ma determinanti perché la vendita si tramuti in somministrazione.
Per quanto sopra esposto, appare quindi evidente che in base alla normativa in vigore nel nostro Paese, alla data odierna non sia consentita la consumazione di alimenti all’interno di attività artigianali del settore alimentare, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda.
A tal proposito si segnala la sentenza del Consiglio di Stato n. 5578 del 10 Novembre 2008, nella quale viene confermato che le attività artigiane – per esempio, la classica pizzeria “a taglio”, il laboratorio di pasticceria o il forno – non possono allestire all’esterno del locale tavolini e sedie per il consumo sul posto dei loro prodotti, visto che questa è una facoltà tipica e riservata ai pubblici esercizi di somministrazione.
L’unica eccezione è data ai panificatori per il disposto dell’art. 4, comma 2 bis, della legge 4 agosto 2006, n. 248; tale norma,infatti, dispone che “E’ comunque consentita ai titolari di impianti (..) l’attività di vendita dei prodotti di propria produzione per il consumo immediato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie”.
Circa il Disegno di Legge varato dal Governo Prodi, che consentiva la vendita di prodotti alimentari di propria produzione e il relativo loro consumo immediato su piani di appoggio presenti all’interno del locale, è da evidenziare che è rimasto lettera morta a causa della conclusione anticipata della precedente legislatura che non ha consentito la conclusione del regolare iter di approvazione.
Sul fronte delle associazioni di categoria è da segnalare, infine, che Confartigianato e CNA Lombardia hanno recentemente chiesto alla Regione di consentire la degustazione ed il consumo sul posto dei prodotti delle imprese artigiane che operano nel settore alimentare; alla data odierna, tuttavia, non risulta che la Regione abbia legiferato in materia.
Piero Nuciari
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