Cosa si intende per: autorità competente al controllo
L’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 193/2007, stabilisce che: “ Ai fini dell’applicazione dei regolamenti (CE) 852/2004, 853/2004, 854/2004 e 882/2004, e successive modificazioni, per le materie disciplinate dalla normativa abrogata di cui all’art. 3, le Autorita’ competenti sono il Ministero della salute, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e le Aziende unita’ sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze. [omissis]”.
L’interpretazione che è stata data a questo articolo, dai dirigenti del Servizio veterinario e del Sian delle ASL in campo nazionale, è che dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 193/2007, i controlli relativi all’igiene degli alimenti competono esclusivamente agli uffici preposti delle ASL e che la Polizia Municipale e tutte le altre forze di Polizia in genere, ad esclusione dei NAS, non possono più operare in questo settore.
Nel Novembre 2009, a questa opinione generale, si è aggiunto anche il parere del direttore generale del Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Dr. Silvio Borrello, inviato al Comune di Rimini, che aveva chiesto delucidazioni in merito ai contenuti dell’art. 2 del D.Lgs. 193/2007, relativamente all’individuazione delle Autorità competenti per i controlli in materia di sicurezza alimentare.
Come si ricorderà, il Dr. Borrello rispose che:
“il D.Lgs 193/2007 identifica le autorità competenti in materia di sicurezza alimentare di cui ai regolamenti CE 178/2002 852-853-854-882/2004 nelle seguenti Amministrazioni: Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali Regioni e Province Autonome Aziende Sanitarie Locali.
Possono pertanto elevare le sanzioni di cui al citato decreto legislativo 193/200 7 gli addetti ai competenti servizi di controllo delle predette Amministrazioni nonché i Carabinieri per la tutela della salute che dipendono funzionalmente dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.
Le altre forze di Polizia (Polizia Municipale, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato, Capitaneria di Porto) possono elevare sanzioni nelle rispettive materie di competenza in relazione alle specifiche norme di settore.
Tutte le forze di polizia possono in ogni caso, su mandato dell’Autorità Giudiziaria, operare provvedimenti anche in materia sanitaria”.
All’epoca, a proposito di questo parere, non mi fu difficile contestare sul mio blog queste affermazioni, evidenziando come il Dott. Borrello nella sua risposta avesse “dimenticato” di citare due norme, in vigore, che invece consentono alla Polizia Giudiziaria di continuare ad effettuare i controlli in materia di igiene degli alimenti: l’articolo 55, comma 1, del Codice di Procedura Penale e l’articolo 13, comma 4, della L. 24/11/81 n. 689.
Come si ricorderà, l’art. 55, comma 1, del Codice di Procedura Penale, stabilisce che:
“La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati (347), impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova (348) e raccogliere quant`altro possa servire per l`applicazione della legge penale (326). [omissis]” .
Se andiamo ora ad analizzare i contenuti dell’art. 515 del Codice Penale (Frode in commercio), possiamo chiaramente dedurre che chi vende alimenti in cattivo stato di conservazione, (art 5 della L. 283/62), soggiace alle sanzioni penali previste dal suddetto articolo.
L’art. 515 C.P. infatti stabilisce che:
“Chiunque, nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora ilfatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire quattro milioni [omissis] “.
Vendere al consumatore sostanze alimentari nello stato elencato dall’art. 5 della L. 283/62, ovvero:
“ a) private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiori ocomunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto da leggi eregolamenti speciali;
b) in cattivo stato di conservazione;
c) con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o daordinanze ministeriali;
d) insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte alavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione;
e) adulterate, contraffatte o non rispondenti per natura, sostanza o qualità alla denominazione concui sono designate o sono richieste;
f) colorate artificialmente quando la colorazione artificiale non sia autorizzata o, nel caso che siaautorizzata, senza l’osservanza delle norme prescritte e senza l’indicazione a caratteri chiari e benleggibili, della colorazione stessa. Questa indicazione, se non espressamente prescritta da norme speciali, potrà essere omessa quandola colorazione è effettuata mediante caramello, infuso di truciolo di quercia, enocianina od altricolori naturali consentiti;
g) con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro per lasanità o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte per il loroimpiego. I decreti di autorizzazione sono soggetti a revisioni annuali; h) che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo [omissis]”, costituisce sicuramente frode in commercio.
Se proviamo ad analizzare attentamente l’elenco sopra descritto, è possibile constatare – senza ombra di dubbio – che queste voci sono quelle che in genere si controllano ( o si dovrebbero controllare) in un’attività alimentare quando si effettuano i sopralluoghi commerciali.
Sono in pratica i “controlli igienici” che secondo il Direttore generale del Ministero della salute e i dirigenti ASL non competerebbero alla Polizia Municipale.
Ma c’è di più.
L’articolo 13, comma 4, della l. 24/11/81 n. 689, stabilisce che:
” All’accertamento delle violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono procedere anche gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, i quali, oltre che esercitare i poteri indicati nei precedenti commi, possono procedere, quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova, a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del pretore del luogo ove le perquisizioni stesse dovranno essere effettuate. Si applicano le disposizioni del primo comma dell’articolo 333 e del primo e secondo comma dell’articolo 334 del codice di procedura penale”.
In più occasioni, durante i “confronti” (che sarebbe più corretto definire “scontri”) con i dirigenti delle Asl, si è sentita spesso l’affermazione che per le problematiche relative alla competenza sui controlli igienici, l’art. 55 del CPP e l’art. 13, comma 4, della L. 689/81, non si applicano perché debbono essere considerati superati dalle norme del “Pacchetto igiene” e dal D.Lgs. n. 193/2007.
A proposito di queste presunte “disapplicazioni” o “abrogazioni tacite” della norma, è da dire che qualche giorno fa l’ufficio legale dell’ANCI ha precisato, in una risposta ad un quesito posto da un comune marchigiano, che “l’art. 15 delle preleggi dispone che <<le leggi non sono abrogate se non da leggi posteriori per dichiarazione espressa del Legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore>>”.
Per quanto sopra descritto appare quindi evidente che sia l’art. 55 CPP che l’articolo 13 della L. 689/81, non essendo abrogati espressamente, non essendo incompatibili, non essendo stati modificati, non essendo stati sostituiti o integrati dal D.Lgs. 193/2007 né dai Regolamenti del “Pacchetto igiene”, debbono essere considerati in vigore e, quindi, applicabili da parte della Polizia Giudiziaria.
L’articolo 2, del D.Lgs. 193/2007, come evidenziato all’inizio dell’articolo, ha stabilito che : “Ai fini dell’applicazione dei regolamenti (CE) 852/2004, 853/2004, 854/2004 e 882/2004, e successive modificazioni, per le materie disciplinate dalla normativa abrogata di cui all’art. 3, le Autorita’ competenti sono il Ministero della salute, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e le Aziende unita’ sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze”.
Analizzando letteralmente i contenuti dell’articolo, è da evidenziare che viene detto: “Ai fini dell’applicazione dei regolamenti …le Autorità competenti sono..”.
E’ da precisare che il testo della legge dice “le Autorità competenti sono” e non “Le autorità competenti ai controlli sono…”.
Se il legislatore avesse scritto che: “Le Autorità competenti ai controlli sono”, in questo caso avrebbe espresso chiaramente la volontà di inibire tali controlli alle varie forze di Polizia; mentre, invece, ha scritto: “Le Autorità competenti sono…”, volendo indicare chi è specializzato per preparazione professionale in queste materie, tale da essere punto di riferimento per tutti , oltre ad indicarlo come Autorità competente a ricevere i verbali di accertamento delle violazioni, a decidere sui ricorsi dei contravventori e a incamerare i proventi sanzionatori.
Dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 193/2007, sul versante delle ASL, in campo nazionale, si è spesso equivocato il termine “Autorità competente”, quasi fosse un dogma; viene a questo punto spontaneo chiedersi quale sia il vero significato di “Autorità competente al controllo”.
Una risposta chiara e esaustiva viene data dal Giudice Maurizio Santoloci, noto studioso del Diritto, Magistrato di Cassazione, con funzioni di Giudice Unico Penale.
Questo Magistrato, famoso per il suo impegno in favore dell’ambiente, è docente di tecnica di polizia giudiziaria ambientale e procedura penale operativa per la Pg, presso diverse Scuole statali e locali di polizia, tra le quali la scuola del Corpo Forestale dello Stato e la sede centrale del Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente.
Una persona quindi eminente ed autorevole.
Sul suo sito www.dirittoambiente.com, un visitatore, qualche tempo fa, aveva posto la seguente domanda:
– Cosa si intende per “autorità competente al controllo” nel contesto della previsione del decreto n. 152/99 sulle acque? Sono soltanto gli organi amministrativi?
Nota
E’ bene evidenziare che sebbene l’argomento sia di natura ambientale, per analogia è ricollegabile anche alle problematiche relative ai controlli sull’igiene degli alimenti.
La risposta del Giudice Santoloci è stata la seguente:
“[omissis] …Va specificato che come «autorità competente» in ordine al controllo sugli scarichi non deve crearsi equivoco relativamente alla ordinaria vigilanza preventiva e repressiva degli organi di polizia giudiziaria. Infatti, il presente articolo, che riguarda i «soggetti tenuti al controllo», deve essere inteso ed interpretato in via esclusiva relativamente alle funzioni preventive amministrative degli enti pubblici competenti appunto in materia di autorizzazione agli scarichi.
Naturalmente, si devono ritenere estranee a detta previsione tutte le forze di polizia che sono addette alla vigilanza ed al controllo preventivo e repressivo in ordine agli illeciti (amministrativi ma soprattutto penali) previsti dal decreto acque.
Pertanto non va intesa la previsione di questo articolo in senso riduttivo, come qualcuno sta ritenendo, e cioè che soltanto alcuni organi o alcune autorità amministrative specializzate sono intestatarie e riservatarie esclusive del potere di controllo, escludendo le forze di polizia da detto adempimento, che invece resta prioritario e doveroso senza alcuna distinzione selettiva di competenze.
In relazione al disposto della norma in esame, si deve riaffermare il principio in base al quale nel nostro ordinamento giuridico la competenza per i reati ambientali, per tutti indistintamente i reati ambientali, appartiene come diritto-dovere a tutti gli organi di polizia giudiziaria statali e locali.
Non esiste a livello di principio un organo di polizia giudiziaria ambientale unico ed esclusivo e dunque la competenza è ripartita a livello generale e diffusa secondo i principi generali del codice di rito al pari, e certamente non di meno, degli altri reati che magari investono la tutela del patrimonio privato.[omissis]…
[omissis] La Suprema Corte già con la sentenza Cass. pen., sez. III, 27 settembre 1991, n. 1872, Pres. Gambino, Est. Postiglione, sancisce dunque da tempo remoto espressamente che «i reati in materia ambientale sono di competenza di tutta la polizia Giudiziaria, senza distinzione di competenze selettive o esclusive per settori, anche se di fatto esistono delle specializzazioni».
La Suprema Corte, per ovviare a realistiche problematiche derivanti da una mancata qualificazione professionale su specifici e particolari punti tecnici da parte della P.G. in generale, aggiunge che «naturalmente la P.G. potrà avvalersi di «persone idonee» nella qualità di «ausiliari» e l’accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della stessa P.G.».
Sulla stessa linea di principio, si sono poi registrate pronunce nei settori più specifici (si veda, ad esempio, come la Cassazione ha precisato che «in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, l’attività di accertamento rientra nella competenza generale di tutta la P.G. senza distinzioni selettive, anche se in concreto esistono specializzazioni, inclusi tutti i soggetti che svolgono compiti amministrativi di vigilanza e controllo» – Cass. pen., sez. III, 22 dicembre 1992, n. 12075, Perrella).
Dunque appare evidente che le specializzazioni e l’esistenza di organi particolarmente impegnati nel settore in seno ad alcune forze di polizia non creano affatto una esimente per tutte le altre forze di polizia «non specializzate» a livello diffuso territoriale.
E la Cassazione replica efficacemente alla laconica obiezione della pretesa impreparazione tecnica della P.G. generale precisando che il ricorso agli «ausiliari» (peraltro non retribuiti) consente di sanare eventuali e spesso troppo enfatizzate scarsità di preparazioni e capacità tecniche e/o scientifiche. […omissis]
Va evidenziato che hanno contribuito ad alimentare confusioni interpretative in questo settore le citazioni espresse di alcuni organi di polizia che a volte in testi normativi ambientali vengono indicati come «affidatari» principali della vigilanza in relazione agli illeciti della stessa norma.
Oppure indicazioni generiche come quella riportata nel testo in esame.
Trattasi, in realtà, di meri di rafforzamenti a livello politico-istituzionale del ruolo di organi di polizia specifici su certi temi e settori che tendono a proporre il ruolo preminente e per certi versi significativamente visibile degli stessi organi in quel determinato settore anche come punto di riferimento primario per le altre istituzioni ed i cittadini.
Ma nulla di più.
Dette citazioni, dunque, devono essere considerate espressioni di principi politici generali perché non esonerano, e non potrebbero esonerare, altre forze di polizia ad operare in quel settore (specialmente in seguito alla realizzazione di un reato) e non costituiscono deroga al principio-base in base al quale tutta la P.G. é sempre e comunque competente per tutti i reati ambientali, ovunque commessi.
Come logica conseguenza del principio di trasversalità di competenza sopra espresso, la Corte di cassazione delinea anche una parallela doverosità di intervento di tutta la PG nel campo dei prelievi in materia di inquinamento idrico.[…omissis]
Il testo di legge non specifica che si tratta di una competenza «esclusiva» dei predetti organismi, sicché é da ritenere legittimo il campionamento eseguito da soggetti diversi (personale delle USL addetto all’igiene ambientale, nucleo specializzato dei Carabinieri (NAS), Nucleo Ecologico dei Carabinieri (NOE), vigili urbani, corpo provinciale di vigilanza dell’inquinamento idrico, etc.) salva la facoltà del giudice di valutarne l’attendibilità, tenendo conto delle modalità utilizzate nel prelievo nel caso concreto (Cass. pen., sez. III, 27 settembre 1991, n. 1872, Rel. Postiglione, Pres. Gambino); e si precisa nella sentenza che». . . non può sorprendere che Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Corpi Forestali, Vigili Urbani possano procedere, ove si evidenzia una necessità, ad operazioni di campionamento di acque, rimanendo le operazioni di analisi affidate agli organi tecnici competenti.
Naturalmente la polizia giudiziaria potrà avvalersi di «persone idonee» nella qualità di «ausiliari» e l’accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della stessa polizia giudiziaria. (…)».
Detto orientamento giurisprudenziale poiché attiene ai principi generali dell’ordinamento e non può dirsi ancorato fisiologicamente ad una singola normativa, deve considerarsi assolutamente attuale e vitale anche con la sopravvenuta modifica legislativa operata nel settore dal D.L. n. 152/99 che ha abolito la legge «Merli», ma che non ha intaccato minimamente i sistemi procedurali di fondo connessi alla ritualità dei prelievi e delle analisi.
Dunque, appare pacifico che a tutt’oggi, vigente il nuovo decreto sulle acque, ogni organo di P.G. può eseguire detti prelievi.
Come appare evidente la Suprema Corte è estremamente precisa sia nel delineare in stretta sinergia tra i due filoni giurisprudenziali sopra evidenziati una totale e doverosa competenza in generale nei reati ambientali di tutta la P.G. e poi conseguentemente anche e soprattutto in materia di prelievi nel campo degli inquinamenti idrici, ma affronta e risolve in modo inequivocabile anche il punto dolente e realistico della non capacità tecnica delle forze di polizia non specializzate nell’affrontare gli adempimenti conseguenti.
Infatti, è stato reiterato e ribadito che, ove il personale non sia professionalmente idoneo e/o non disponga delle attrezzature necessarie, può ricorrere ad un ausiliario (articolo 348, quarto comma, c.p.p.) nominato tra soggetti dotati di specifiche competenze tecniche nel settore per la fase materiale delle operazioni (ausilio temporaneo che, peraltro, non è soggetto a forma retributiva trattandosi di onere pubblico a titolo gratuito)…[omissis]”.
E’ da evidenziare che quella appena riportata è la definizione fatta da un Magistrato di Cassazione, studioso del Diritto e non da una persona qualsiasi.
Alla luce di quanto sopra descritto, viene spontaneo chiedersi come sia ancora possibile che il “dogma” relativo “all’Autorità competente”, portato avanti in campo nazionale dalla dirigenza delle varie ASL, possa ancora esistere visto che viviamo (o almeno si spera) in uno Stato di Diritto.
A causa di questo “dogma”, dal Novembre 2007, in quasi tutte le regioni italiane sono stati ridotti ( se non eliminati) i controlli sull’igiene degli alimenti da parte della Polizia Municipale, a discapito dei consumatori.
Le ASL, dal canto loro, non avendo sufficiente personale, svolgono molto raramente controlli di prevenzione, con il risultato che la prevenzione sull’igiene degli alimenti, nei pubblici esercizi e negli esercizi commerciali del settore alimentare, non viene più effettuata da nessuno.
…E se questi sono i risultati del D.Lgs. n. 193/2007… sicuramente c’è qualcosa che non funziona!
Qualcuno si chiederà perché nel mio blog tratto spesso di questa problematica…
La risposta è molto semplice.
Perché l’80% delle malattie provengono dal cibo, dall’igiene degli alimenti, dalle contaminazioni, dalle procedure di lavorazione sbagliate, dal mancato rispetto delle più elementari norme igieniche da parte di coloro che fabbricano, commerciano o somministrano prodotti alimentari.
La Polizia Municipale e le altre Forze di Polizia, fino all’entrata in vigore del D.Lgs. 193/2007, hanno sempre svolto, in campo nazionale, un ottimo lavoro di prevenzione a favore dei consumatori, con risultati che spesso sono stati sotto gli occhi di tutti, sui giornali e sui media in genere.
A questo punto viene spontaneo chiedersi come mai i nostri politici non si siano ancora resi conto di quello che sta accadendo in Italia, come mai nessuno propone modifiche al D.Lgs. 193/2007, come mai c’è tutto questo immobilismo da parte delle regioni?
Ai tempi dello scandalo dei formaggi scaduti riciclati, come si ricorderà, la truffa venne scoperta dalla Guardia di Finanza durante un normale controllo stradale.
All’epoca venne accertata la connivenza di un Dirigente ASL, e se la pattuglia di finanzieri non avesse fermato il camion dall’odore nausabondo, sicuramente ancora oggi continueremmo ad alimentare i nostri figli con mozzarelle riciclate, sbiancate e insaporite con solventi chimici.
Visti i tempi che corrono, le continue truffe alimentari, i tumori ed altre gravi malattie che aumentano in maniera esponenziale, anziche arroccarsi, da parte delle ASL, su posizioni discutibili, non è forse il caso che la burocrazia venga messa da parte nell’interesse dei consumatori?
Piero Nuciari
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