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Crisi economica: il 12 Novembre 2008 la Commissione europea, per far fronte alla crisi economica in atto, ha rivisto le norme di uniformità in vigore su frutta e verdura

Come il lettore sicuramente saprà, dal 17 febbraio 2003 – in Italia – è obbligatorio indicare sui contenitori di frutta e verdura, la denominazione commerciale, il prezzo per unità di misura, e gli altri dati previsti dall’art. 6 del Regolamento dell’Unione Europea (CE) n. 2200/96 del 28/10/1996, recepito nel nostro Paese con il D.Lgs. 306/2002.I prodotti ortofrutticoli ai quali si applicano le norme di qualità comunitarie sono quelli compresi nell’allegato I del Reg. 2200/96 e riguardano:
a) relativamente agli ortaggi: agli, asparagi, carciofi, carote, cavolfiori, cavoli di Bruxelles, cavoli cappuccini e verze, cetrioli, cicoria Witloof, cipolle, fagiolini, lattughe, indivie ricce e scarole, melanzane, peperoni dolci, piselli, pomodori, porri, sedani da coste, spinaci, zucchine, funghi coltivati;
b) relativamente alla frutta: agrumi, albicocche, avocadi, banane, ciliegie, cocomeri, fragole, kiwi, mele, pere, meloni, nocciole in guscio, noci in guscio, pesche e nettarine, prugne (susine), uva da tavola.
Per tutti questi prodotti, i cartellini devono fornire informazioni obbligatorie relative alla natura del prodotto, alla sua origine (nazionalità o zona di produzione come Regione o Comune di provenienza), alla varietà (ad esempio per le mele Golden o Marlene) e alle caratteristiche commerciali qualitative (categoria Extra, I o II).
Le caratteristiche commerciali qualitative della frutta e degli ortaggi sono definite nel seguente modo (morfologia, assenza di danni, odore o sapore estranei, etc) e classificate nelle seguenti categorie:
extra (qualità superiore, ovvero priva di difetti), I categoria (lievi difetti di forma, di colorazione, buona qualità) e II categoria (difetto di colorazione, rugosità della buccia, forma leggermente difettosa etc)

Nota
Per  completezza di informazione, ai sensi dell’art. 6 del D.M 28 dicembre 2001,  non sono soggetti all’obbligo di conformità alle norme all’interno della regione di produzione:
a) i prodotti venduti o consegnati dal produttore a centri di confezionamento e d’imballaggio o a centri di deposito, oppure avviati dall’azienda del produttore verso tali centri;
b) i prodotti avviati da centri di deposito verso centri di confezionamento e di imballaggio.Non sono soggetti all’obbligo di conformità alle norme:a) i prodotti avviati agli impianti di trasformazione, salvo eventuale determinazione, secondo la procedura di cui all’articolo 46, di criteri qualitativi minimi per i prodotti destinati alla trasformazione industriale;
b) i prodotti che il produttore cede, nella propria azienda, al consumatore per il fabbisogno personale di quest’ultimo.

Con il nuovo provvedimento europeo, che entrerà ufficialmente in vigore il 1° Luglio 2009, se prima, girando all’interno di un supermercato, vedevamo solo frutta e verdura perfetta, la prossima estate inizieremo a vedere anche parecchi prodotti piccoli, brutti, dalla maturazione asimmetrica, ma dal costo (si spera) molto più abbordabile rispetto a quelli “blasonati” di categoria “superiore”, ai quali siamo abituati da anni.

Negli ultimi decenni, il consumatore attento si sarà sicuramente chiesto come mai, nei supermercati o dal proprio fruttivendolo, non viene mai posta in vendita frutta o verdura piccola, brutta, poco matura, con difetti vistosi, come quella che potrebbe  acquistare in campagna, dai contadini.
L’ortofrutta venduta negli esercizi commerciali, infatti, oltre ad essere costosa, è anche perfetta, luminosa, matura al punto giusto, senza il minimo difetto.

La spiegazione è semplice…

Negli anni 80, l’Unione Europea, per motivi commerciali, emanò delle norme per l’uniformità di frutta e verdura, a seguito delle quali, per decenni, migliaia di tonnellate di frutta e verdura perfettamente commestibili sono state eliminate perché non rispondenti ai criteri estetici prefissati.
Per fare degli esempi, si pensi che dette norme prevedono che le banane devono seguire un ben preciso raggio di curvatura e devono superare i 10 centimetri, le trecce di cipolle devono contenere almeno 26 esemplari, un grappolo d’uva non deve superare il chilo, etc.
La “parziale liberalizzazione”,  decisa il 12 Novembre 2008 dalla Commissione europea, è consentita per albicocche, carciofi, asparagi, melanzane, avocado, fagioli, cavoli di Bruxelles, carote, cavolfiori, ciliegie, zucchine, cetrioli, funghi coltivati, aglio, nocciole in guscio, cavoli cappucci, porri, meloni, cipolle, piselli, prugne, sedani da coste, spinaci, noci in guscio, cocomeri e cicoria witloof; è tuttavia da evidenziare che da queste norme rimangono però fuori i 10 principali prodotti quali: mele, agrumi, kiwi, lattughe, pesche e pesche noci, pere, fragole, peperoni dolci, uve da tavola e pomodori, che  dovranno sempre sottostare ai vecchi regolamenti anche se potranno essere venduti fuori norma a patto che vengano etichettati appropriatamente con diciture tipo “prodotto destinato alla trasformazione”.
E’ appena il caso di evidenziare che l’Italia si è opposta al provvedimento di liberalizzazione, ed anche se tale scelta potrà sembrare discutibile, visti i tempi che corrono, per i nostri governanti appare reale il rischio che a seguito del provvedimento europeo, i consumatori possano finire  per pagare  prezzi elevanti per prodotti di scarto.
Considerata la speculazione che venne messa in atto all’epoca del cambio lira-euro, la possibilità che organizzazioni commerciali con pochi scrupoli approfittino della situazione non appare purtroppo remota.
Le preoccupazioni esternate dal Governo, sono anche della Cia, della Coldiretti e di altre sigle sindacali degli agricoltori.
Per avere un’idea dei pericoli in cui potrebbero incorrere i consumatori, si riporta il comunicato stampa pubblicato di recente dalla Cia (Confederazione italiana Agricoltori):
«La riduzione delle norme di standardizzazione commerciale dei prodotti ortofrutticoli, decisa oggi dagli Stati europei su proposta della Commissione Ue, è un errore gravissimo che purtroppo penalizzerà i produttori italiani (portatori di un “made in Italy” nell’eccellenza di molti prodotti ortofrutticoli), ma anche quelli di altri paesi mediterranei, come Spagna e Grecia».
È quanto sottolinea la Cia-Confederazione italiana agricoltori.
Su questa decisione, originata da una forte pressione lobbistica sulla Commissione europea da parte dei paesi del Nord Europa (Gran Bretagna in testa), al fine di avere mani libere nelle modalità di scambio della merce sui grandi mercati e nell’apertura ad un import sempre più indifferenziato, c’è stata molta disinformazione nei confronti del consumatore.
«Non si tratta, infatti, come alcuni media hanno affermato, di un auspicabile stop ad ingiuste discriminazioni tra i diversi prodotti, soprattutto circa la relative lunghezze di zucchine, melanzane, ecc.
Il problema è di altra natura perchè quello che viene eliminato oggi – afferma la Cia – sono le condizioni minime (calibri, varietà, categorie qualitative) per offrire agli operatori onesti dei mercati europei alcuni importanti strumenti per operare le scelte, attraverso una comparazione delle diverse partite ed una equa correlazione ai rispettivi prezzi.
Togliendo gran parte dei requisiti minimi di commercializzazione (restano in piedi solo quelli per 10 prodotti, anzichè 36), la Commissione Ue è venuta meno al suo impegno, proclamato anche nel recente Libro Verde sulla qualità, ovvero il sostegno da parte della norm ativa comunitaria agli agricoltori “per vincere la sfida della qualità».
I mercati verranno invasi da prodotti spesso di scarto, senza poter operare, con trasparenza, le necessarie identificazioni e distinzioni tra le diverse partite di merce.
Nel sostenere che tale misura non rappresenta affatto una semplificazione di carattere amministrativo, la Cia denuncia, inoltre, che tra i rischi potenziali, vi saranno probabilmente anche ripercussioni negative sui prezzi ed una situazione di confusione che renderà più difficile anche l’utilizzo delle analoghe norme internazionali Unece (United nations economic commission for Europe).
Queste, infatti, sono, a confronto con la scarna normativa europea, molto più numerose e dettagliate. Proprio alla luce di tale problema, la Cia propone alla Commissione di omologare direttamente le norme comunitarie a tali norme internazionali”
(Fonte: www.terra-multimedialeagricoltura.it)

                                                                                               Piero Nuciari

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