I prodotti ortofrutticoli irradiati
Durante un sopralluogo commerciale, un controllo che non viene mai effettuato (o raramente) è quello di verificare se i prodotti ortofrutticoli venduti sono irradiati e se questa circostanza è indicata nel cartellino contenente il prezzo per unità di misura e le classiche informazioni previste dal D.Lgs. n. 306/02 (origine, varietà, categoria, etc).
Nota
Prima di indicare la normativa che disciplina la materia, è il caso di chiarire sommariamente in cosa consiste questa procedura, a cosa serve e quali sono i prodotti alimentari che la subiscono.
L’irradiazione alimentare fu utilizzata per la prima volta nel 1943, negli USA, per sterilizzare gli hamburger.
In pratica, gli alimenti vengono irradiati ponendoli su un nastro trasportatore e fatti passare sotto un fascio di radiazioni sprigionate da cobalto 60 o da un generatore di elettroni.
I raggi gamma, generati da Cobalto 60 o più raramente da Cesio 137, possono penetrare in profondità e trattare anche alimenti confezionati. Gli isotopi radioattivi che producano le radiazioni devono essere scrupolosamente protetti e conservati.
Il fascio di elettroni con raggi beta viene prodotto da un cannone elettronico, che una volta spento non emette più radiazioni, diversamente rispetto alle fonti di raggi gamma. Il potere penetrante, però, è minore.
La tecnologia a raggi X è la più evoluta e riesce a unire i vantaggi delle due precedenti, ovvero la penetrazione in profondità e lo spegnimento della sorgente radioattiva.
L’irradiazione permette l’eliminazione dei batteri e di alcuni microrganismi che spesso sono fautori di svariate tossinfezioni alimentari; inoltre (e questo, ad avviso di chi scrive, è il vero motivo) ritarda sia la maturazione che la germogliazione degli alimenti, aumentandone conseguentemente la conservazione.
In base alle normative europee e nazionali in vigore, l’irradiazione può essere usata per patate, cipolle, agli, cacao, caffè, erbe aromatiche, spezie, e per l’eliminazione di particolari batteri che provocano il rapido deterioramento organolettico di alcuni cibi delicati come frutti di mare freschi, frutta a polpa tenera, etc., ma non è utilizzabile per tutti gli alimenti visto che può causare variazioni di colore o di sapore che renderebbero i cibi invendibili.
A livello Europeo la Commissione “Codex Alimentarius” e le altre autorità deputate al controllo in ambito alimentare, hanno disciplinato e approvato l’irradiazione di più di 60 prodotti alimentari.
Sull’argomento sono state emanate due direttive: la direttiva 1999/2/CE e la direttiva 1999/3/CE relative all’irradiamento degli alimenti e dei loro ingredienti, entrate in vigore il 20 settembre 2000.
La direttiva 1999/2/CE, che sancisce le norme applicate ad alimenti e ingredienti alimentari trattati con radiazioni ionizzanti, disciplina anche gli aspetti legati alla commercializzazione, all’etichettatura (che deve indicare chiaramente se l’alimento è stato trattato), l’importazione e i diversi controlli obbligatori su questi alimenti.
In Francia, Belgio, Repubblica Ceca, Olanda, Polonia e Regno Unito questo metodo si utilizza maggiormente rispetto all’Italia, dove esiste un unico impianto – a Minerbio, in provincia di Bologna – e l’irradiazione vige solo per i trattamenti contro la germogliazione delle patate, delle cipolle e degli agli.
Nel nostro Paese il decreto 94 del 2001, che applica le direttive europee citate, disciplina la produzione, l’importazione, la commercializzazione e gli aspetti tecnico-sanitari relativi ai cibi sottoposti a radiazioni.
La successiva normativa internazionale ISO 14470:2011 ha fissato i requisiti per l’irradiazione degli alimenti, mentre la presenza del logo Radura in etichetta e sui documenti di accompagnamento indica i cibi trattati con questa procedura, insieme alla dicitura “irradiato” o “trattato con radiazioni ionizzanti”.
In Italia la disciplina è regolamentata dal DM 30/08/1973 (che permette l’uso delle radiazioni gamma per bloccare la germinazione) e dal Decreto Legislativo 30 gennaio 2001, n. 94, avente come oggetto “Attuazione delle direttive 1999/2/CE e 1993/3/CE concernenti gli alimenti e i loro ingredienti trattati con radiazioni ionizzanti”.
La prima normativa prevede, all’art. 6, l’obbligo di inserire nella confezione – che dovrà essere sigillata mediante piombatura o altro dispositivo non manomissibile – la dicitura “Patate (o cipolle o agli) irradiate a scopo antigermogliativo”; mentre il secondo provvedimento, riguardante erbe aromatiche essiccate, spezie e condimenti vegetali, prevede, all’art. 13, l’obbligo per i commercianti di riportare la dicitura “irradiato” o “trattato con radiazioni ionizzanti” nella denominazione di vendita e nell’elenco degli ingredienti, anche nel caso di vendita ai sensi degli articoli 8, co. 2 e 6 del Reg. UE n. 1169/2011 e allegato VI, comma 3, dello stesso Regolamento.
Si evidenzia che i prodotti alimentari non destinati al consumatore finale, di cui all’articolo 8, co. 2 e 8 del citato Reg. UE n. 1169/2011 e allegato VI, comma 3 dello stesso Regolamento, se irradiati, devono riportare anche l’indicazione della denominazione e dell’indirizzo dell’impianto che ha effettuato l’irradiazione oppure il suo numero di riferimento.
Considerato che alcuni prodotti irradiati come patate, cipolle, agli ed erbe aromatiche, originariamente confezionati, vengono molto spesso venduti sfusi, per prassi consolidata e nonostante l’esplicito divieto della normativa sopra citata, occorre tener presente che l’indicazione del trattamento deve in ogni caso figurare nei documenti che li accompagnano e sui cartellini posti sui banchi di vendita.
Per quanto sopra, durante il controllo, è bene chiedere al commerciante di poter visionare il magazzino alla ricerca di altri contenitori dello stesso prodotto, per verificare il contenuto delle etichette apposte.
Nel caso in cui le suddette confezioni dovessero contenere la dicitura “irradiato” o “trattato con radiazioni ionizzanti” oppure “patate (o cipolle o agli) irradiate a scopo antigermogliativo”, l’alimentarista è sanzionabile in base all’art.3 del D.Lgs, 231/17.
Nota
E’ bene evidenziare che il mercato è libero e che tanti prodotti alimentari vengono importati dall’estero dove potrebbero essere stati trattati.
Per individuarli occorre vedere se sull’etichetta è presente il “logo radura”.
Piero Nuciari
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