Il 6 Marzo 2011 entra in vigore la legge sull’indicazione obbligatoria dell’origine degli alimenti: la sfida con l’Europa è iniziata
Una cosa che non si può dire dei nostri governanti è che non siano caparbi. Nonostante le diffide della UE e la minaccia più o meno velata di pesanti sanzioni economiche per il nostro Paese, la legge sull’indicazione obbligatoria dell’origine degli alimenti entrerà in vigore il 6 Marzo prossimo.
Chi come me segue da anni questo settore, ricorderà che nel 2004 il Governo fece un tentativo simile che fallì miseramente.
La strada che percorse allora è la stessa di adesso: venne emanato il decreto-legge n. 157 del 24 giugno 2004 (Disposizioni urgenti per l’etichettatura di alcuni prodotti agroalimentari, nonché in materia di agricoltura e pesca), poi convertito nella legge 204/04.
Successivamente ci furono alcune circolari esplicative e alcune note della Commissione europea, poi tutto finì nell’oblio.
Nonostante la giustezza delle norme previste nella legge 204/2004, l’Europa non era matura a riceverle, come del resto non lo è ancora oggi per gli enormi interessi economici in gioco.
La legge 3 Febbraio 2011, n. 4, avente come oggetto ”Disposizioni in materia di etichettatura e di qualita’ dei prodotti alimentari”, costituisce il nuovo tentativo del Governo Italiano volto a tutelare i consumatori e la produzione alimentare nazionale.
L’articolo di questa norma, di maggiore interesse per i consumatori, è il numero 4, che disciplina l’etichettatura dei prodotti alimentari.
Al comma 1, l’articolo prevede l’obbligo per i prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati, di riportare nell’etichettatura, oltre alle indicazioni di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, e successive modificazioni, l’indicazione del luogo di origine o di provenienza e, in conformita’ alla normativa dell’Unione europea, dell’eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati in qualunque fase della catena alimentare, dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale.
Il successivo comma 2 stabilisce per i prodotti alimentari non trasformati, l’obbligo di indicazione del Paese di origine o di provenienza degli stessi. Per i prodotti alimentari trasformati, l’indicazione riguarda il luogo in cui e’ avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti.
Altra nota importante è la modifica apportata dal comma 5, all’articolo 8 del D.Lgs. n. 109/92, con l’introduzione del comma 5-septies, che obbliga l’indicazione in etichetta dell’origine dell’ingrediente caratterizzante evidenziato.
Per i contravventori delle disposizioni dell’articolo 4 e dei decreti applicativi di ogni filiera alimentare, sono previste pesanti sanzioni: da 1.600 a 9.500 euro.
E’ da evidenziare che affinchè la legge divenga pienamente operativa, occorrerà attendere l’emanazione dei decreti applicativi per ogni filiera alimentare.
A tal proposito è da sottolineare che in base al comma 11, l’obbligo di indicazione in etichetta dell’origine degli alimenti ha effetto decorsi 90 giorni dalla data di entrata in vigore dei suddetti decreti.
Per i prodotti etichettati anteriormente alla data di entrata in vigore dell’obbligo e privi delle indicazioni obbligatorie, è previsto che possono essere venduti entro i successivi centottanta giorni.
Una considerazione
Premesso che molto difficilmente, considerate le prime reazioni della UE, la nuova legge avrà vita lunga, non è possibile esimersi dal dare un giudizio sulla nuova norma voluta da tutti i partiti politici e dalle associazioni di categoria italiane.
Anche se a prima vista può sembrare ben fatta, in realtà pochi hanno evidenziato che l’origine dell’ingrediente o del prodotto poco o nulla ha a che fare con la sicurezza e la qualità (intesa come insieme delle caratteristiche attese dal consumatore).
Il sapere che in un determinato prodotto è stato utilizzato un ingrediente italiano, senza sapere come è stato coltivato, quali tipi di concimi e sostanze chimiche sono state usate per il terreno e per la pianta, non dà a mio avviso, nessuna sicurezza al consumatore.
Ragionando per assurdo, un consumatore che sceglierà un determinato prodotto italiano posto sugli scaffali di un supermercato rispetto ad uno simile con le materie prime coltivate in Spagna, in base alla nuova normativa penserà di essere più tutelato, mentre nella realtà il prodotto spagnolo potrebbe essere stato coltivato senza l’uso di determinati prodotti chimici e quindi risultare più salutare.
Un esempio calzante potrebbero essere le insalate pronte.
Comprare un prodotto italiano non vuol dire che sia più salutare di uno francese o di altro stato UE.
Per la coltivazione di questa verdura vengono infatti utilizzati concimi chimici e anti-lumache; una volta raccolta viene lavata con soluzione clorata corrisponde a un valore fino a venti volte superiore a quello presente nell’acqua di una piscina, per poi essere confezionata con l’ausilio di gas protettivi.
Un prodotto decisamente poco salutare.
A questo punto le modalità di coltivazione e di concimazione del terreno fanno la differenza.
E si potrebbero fare parecchi altri esempi!
L’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine degli alimenti, potrà forse toglierci la curiosità di vedere da dove provengono le materie prime, ma sicuramente non ci dirà come queste sono state coltivate o lavorate e se possiamo stare tranquilli sulla loro salubrità.
”Noi siamo quello che mangiamo”: mai come nella nostra epoca questo antico detto è stato foriero di verità, specie dopo la recente pubblicazione dei dati sui tomori in Italia, aumentati del 10% nel 2010.
Piero Nuciari
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