Il controllo delle tintolavanderie e delle lavanderie self-service
Da alcuni anni stanno spuntando come funghi, in tutte le città italiane, le lavanderie self-service dove è possibile lavare i propri indumenti a prezzi molto più convenienti di quelli praticati dalle tintolavanderie.
Queste nuove attività, alle quali non si applicano i limiti previsti dalla vigente normativa sulle tintolavanderie, rappresentano in alcuni casi una forma di concorrenza sleale per le aziende tradizionali, soprattutto quando vengono gestine nel modo scorretto che andremo ad esaminare. Il funzionamento di una lavanderia ad acqua “self-service” è identico a quello dell’autolavaggio self-service: il cliente acquista i gettoni per usufruire dei macchinari che gli occorrono, comprando, a volte, anche gli appositi detergenti.
Per aprire questo genere di attività tramite SCIA, la normativa prevede l’obbligo di iscrizione al registro delle imprese e il possesso dell’autorizzazione prevista dall’articolo 64 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (industrie pericolose ed i mestieri rumorosi e incomodi) e non è richiesto il requisito professionale (Decreto Legislativo 26 marzo 2010, n. 59, art. 79, comma 1 bis).
Il Ministero dello Sviluppo economico, nella Nota prot. 30663 del 14/02/2012, in merito alle lavanderie self-service ha chiarito che “pur non potendosi ritenere pienamente applicabile la Legge 84/2006 in tutti i suoi aspetti, in particolare con riferimento alla necessità di designazione di un responsabile tecnico, non potesse tuttavia escludersi un’applicabilità parziale della stessa, soprattutto riguardo alla previsione normativa riguardante la definizione e il rispetto dei requisiti di sicurezza e igienico sanitari dei locali e delle apparecchiature”.
Il controllo da effettuare in questo genere di attività, al fine di contrastare la concorrenza sleale nei confronti delle tintolavanderie, è quello di verificare se all’interno del locale è presente un addetto che fornisce assistenza e servizi alla clientela inserendo materialmente i capi da lavare nelle lavatrici, proponendo i servizi di stireria o il ritiro e la consegna capi presso il domicilio dei clienti.
Nell’ipotesi in cui venisse accertata tale eventualità, si verificherebbe un vero e proprio “sconfinamento” nel campo professionale delle tintolavanderie, visto che, ad esempio, l’art. 2, comma 1, della legge n. 84/2006, normativa del settore, indica la stiratura tra i trattamenti oggetto dell’attività professionale di tintolavanderia.
In questo caso la lavanderia self-service necessiterebbe dei requisiti di idoneità professionale previsti dall’ art. 2, comma 2, della Legge 22 febbraio 2006, n. 84, configurandosi non più come self-service, ma come tintolavanderia vera e propria.
I requisiti previsti per quest’ultima, infatti, non sono da poco.
La tintolavanderia deve nominare un responsabile tecnico in possesso di apposita idoneità professionale comprovata dal possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:
a) frequenza di corsi di qualificazione tecnico-professionale della durata di almeno 450 ore complessive da svolgersi nell’arco di un anno;
b) attestato di qualifica in materia attinente l’attività conseguito ai sensi della legislazione vigente in materia di formazione professionale, integrato da un periodo di inserimento della durata di almeno un anno presso imprese del settore, da effettuare nell’arco di tre anni dal conseguimento dell’attestato;
c) diploma di maturità tecnica o professionale o di livello post-secondario superiore o universitario, in materie inerenti l’attività;
d) periodo di inserimento presso imprese del settore non inferiore a:
1) un anno, se preceduto dallo svolgimento di un rapporto di apprendistato della durata prevista dalla contrattazione collettiva;
2) due anni in qualità di titolare, di socio partecipante al lavoro o di collaboratore familiare degli stessi;
3) tre anni, anche non consecutivi ma comunque nell’arco di cinque anni, nei casi di attivita’ lavorativa subordinata.
E’ da evidenziare che le materie trattate nei corsi organizzati dalle varie regioni, sono abbastanza impegnative.
Nel corso vengono infatti trattati: fondamenti di chimica organica e inorganica; chimica dei detersivi; principi di scioglimento chimico, fisico e biologico; elementi di meccanica, elettricità e termodinamica; tecniche di lavorazione delle fibre; legislazione di settore, con specifico riguardo alle norme in materia di etichettatura dei prodotti tessili; elementi di diritto commerciale; nozioni di gestione aziendale; legislazione in materia di tutela dell’ambiente e di sicurezza del lavoro; informatica; lingua straniera.
Vista la complessità, appare quindi abbastanza normale che coloro che vogliono investire in questo settore aggirino la norma aprendo lavanderie self-service che, per il disposto del Decreto Legislativo 26 marzo 2010, n. 59, art. 79, comma 1 bis, non necessitano del possesso dei requisiti professionali.
Da qui l’importanza dei controllli al fine di evitare i potenziali abusi.
Le sanzioni
A livello sanzionatorio è da evidenziare che l’articolo 5 della Legge 22 febbraio 2006, n. 84 prevede sanzioni che vanno da 250 a 500 euro; tuttavia, alla data odierna, varie Regioni hanno disciplinato la materia prevedendo anche sanzioni differenti.
Un esempio per tutti è la Regione Toscana che con la Legge regionale n. 56, del 17/10/2013, ha previsto, all’articolo 11, sanzioni da 1500 a 5000 euro, prevedendo anche per le ipotesi di mancata esposizione delle tariffe praticate, della scia, etc. sanzioni da 250 a 1500 euro.
Le normative delle altre regioni che hanno legiferato in materia sono pressappoco simili.
Per la PG che intende effettuare questo genere di controlli, che ad avviso di chi scrive sono importanti per impedire il malcostume tutto italiano di aggirare le leggi, è bene quindi far riferimento alla propria normativa regionale.
Piero Nuciari
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