Il pesce contraffatto
Negli ultimi anni la contraffazione alimentare è divenuta un problema molto serio che ha visto coinvolte, spesso, anche industrie alimentari di un certo rilievo.
Molto scalpore suscitò, nel 2008, il caso dei formaggi riciclati o, nel 2005, quello dei prodotti dolciari realizzati con le uova marce: milioni di uova marce, scadute, avariate e persino col pulcino dentro, venivano impiegate per la produzione di “ottimi” pandori e merendine.
Queste attività truffaldine perpetrate da commercianti senza scrupoli, denotano come l’avidità e il risparmio siano divenute le leggi del commercio.
Tutti noi, almeno una volta, ci saremo sicuramente chiesti dove finiscono le tonnellate di prodotti alimentari scaduti, se in discarica o in altri posti più idonei… visto che la discarica costa!
Considerate le inchieste in corso, è possibile dedurre che il riciclaggio – purtroppo – negli ultimi anni sta andando per la maggiore, a discapito della salute dei consumatori.
L’HACCP, osannata come la panacea capace di tenere sotto controllo e, addirittura, risolvere tutte le problematiche relative all’igiene alimentare, sta divenendo, di fatto, il tallone d’Achille della nostra igiene alimentare.
Basta semplicemente un industriale disonesto e la complicità di qualche funzionario della struttura pubblica corrotto, per avere formaggi, uova e chissà quanto altro materiale alimentare riciclato.
A complicare la situazione è poi sopravvenuto anche il D.Lgs. 193/2007, che trasferendo la competenza per le violazioni in materia di igiene alimentare dai comuni alle ASL, ha di fatto complicato la vita alle forze di Polizia, Polizia Municipale in primis, le quali si sono viste defenestrare a livello di competenza dai vari dirigenti delle ASL che interpretando la norma “a loro modo” si sono arrogati in diritto dell’esclusività di questo genere di controlli, dimenticandosi, speriamo in buona fede, dei poteri concessi alla Polizia Giudiziaria dall’art. 13, comma 4, della L. 689/81.
Questa scelta “scellerata” (è un termine pesante ma per quello che andrò a descrivere, appropriato) ha comportato un disorientamento di parecchi comandi a livello nazionale che hanno conseguentemente ridotto e in alcuni casi addirittura eliminato dal proprio mansionario questo genere di controlli, a discapito dei consumatori.
Le ASL, dal canto loro, non avendo sufficiente personale, raramente effettuano controlli di prevenzione, giungendo a visitare le attività alimentari in alcuni casi addirittura una volta ogni uno-due anni, giustificando il loro “modus operandi” con la tutela che a loro dire deriverebbe dall’HACCP, il cui rispetto da parte della ditta, dovrebbe comunque garantire la sicurezza del consumatore.
Il condizionale è d’obbligo, visto che se fosse stato vero quanto sopra, non si sarebbero verificate le truffe alimentari precedentemente descritte!
Un antico proverbio dice che “quattro occhi vedono meglio che due” e l’aver messo “i paletti” da parte delle ASL su questo genere di controlli và esclusivamente a discapito dei consumatori.
A mio avviso la collaborazione con le forze di polizia presenti sul territorio è indispensabile per questo genere di controlli; non si dimentichi, ad esempio, che lo scandalo dei formaggi riciclati venne scoperto, non dalle ASL, ma dalla Guardia di Finanza che nel 2006 fermò un TIR dall’odore nauseabondo mentre transitava in provincia di Cremona; che il traffico delle uova marce utilizzate per la fabbricazione dei dolci venne scoperto dai Nas di Bologna, che nel novembre 2009 la Polizia Municipale di Milano sequestrò 65 kg di carne e pesce in cattivo stato di conservazione in un bar trattoria e in un ristorante giapponese della città, per non parlare poi dell’operato dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera che lo scorso anno a Vibo Valentia sequestrarono oltre 7 tonnellate di pesce di vario tipo, a seguito di una serie di controlli in un’azienda specializzata nella vendita all’ingrosso di prodotti ittici.
Come ho scritto in varie occasioni, questo genere di controlli di natura igienica possono essere effettuati dalla Polizia Municipale (e dalle altre Forze di Polizia) in virtù del disposto dell’art. 13, comma 4, della legge n. 689/81 che testualmente recita:
“All’accertamento delle violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono procedere anche gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, i quali, oltre che esercitare i poteri indicati nei precedenti commi, possono procedere, quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova, a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del pretore del luogo ove le perquisizioni stesse dovranno essere effettuate.”
Come è possibile constatare, la norma è chiara e senza possibilità di interpretazioni diverse!
Chiarito questo principio, andiamo ora a parlare di una contraffazione molto particolare che interessa le pescherie.
Esistono infatti delle sostanze che se messe a contatto con il pesce, riescono ad aumentarne le caratteristiche di freschezza addirittura per 15-20 giorni.
Come sicuramente il lettore saprà, uno dei sistemi per valutare la freschezza di un pesce è l’aspetto esteriore che deve essere brillante; l’occhio deve apparire brillante e in rilievo, le branchie devono essere rosse e umide, l’addome turgido e integro, la pelle tesa, elastica e umida.
In Europa esistono diversi prodotti che consentono di far mantenere per diversi giorni al pesce le caratteristiche di freschezza appena descritte; sono sostanze nate per altri impieghi ma che, se il commerciante è disonesto, vengono utilizzate per prolungare la conservazione del pescato.
In genere vengono usati prodotti composti da E330 (Acido citrico), E331 (Citrato di sodio), perossido d’idrogeno, istamina, CO (monossido di carbonio: consente di mantenere inalterato il colore rosso brillante del pesce ed è un blando batteriostatico), leucomalachite (ha un’azione battericida e antifungina nei pesci), etc.
Una volta trattato il pescato con queste sostanze, è praticamente impossibile (o quasi), stabilire, alla vista e al tatto, se il pesce è veramente fresco.
In realtà un metodo per riconoscerlo esiste, anche se è scomparso dai libri di veterinaria circa 30 anni fa: è il metodo del cristallino.
Mi venne insegnato negli anni ’80 da un vecchio veterinario.
Si procede in questo modo:
si chiede al pescivendolo di sezionare un occhio del pesce e di estrarre il cristallino;
una volta estratto lo si osserva sotto la luce naturale e se appare trasparente il pesce è fresco, se è opaco ha 2-3 giorni, se invece è scuro, tendente al marrone, è sicuramente pesce scongelato, stantio, spacciato per fresco.
Il cristallino a destra (quello chiaro) è di un pesce fresco, quello a sinistra è di un pesce congelato. Come potete vedere, con questo metodo è molto facile individuare una frode commerciale.
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Nell’ipotesi in cui il cristallino dovesse essere di colore marrone, occorre chiamare il servizio veterinario della ASL di competenza per i prelievi previsti dalla legge.
Se anche le analisi di laboratorio dovessero confermare quanto accertato con questo sistema “empirico”, il commerciante soggiace agli artt. 56 e 515 del Codice Penale (frode in commercio).
L’art. 56 c.p. disciplina il tentativo di commettere un delitto (reato), nel senso che l’autore risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica.
L’art. 515 c.p. disciplina la frode nell’esercizio del commercio che si realizza da parte di chi, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita. Per tale reato, è prevista la reclusione fino a due anni o la multa fino a euro 2065,83.
Piero Nuciari
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