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La nuova disciplina del Made in Italy

Con l’art. 17, comma 4, della L. 99/2009, avente come oggetto “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”  il nostro Legislatore aveva tentato di “arginare” i danni provocati alla nostra economia dalla contraffazione estera, prevalentemente cinese.

La norma, come gli addetti ai lavori ricorderanno, entrò in vigore la scorsa estate apportando significative modifiche alla legge Finanziaria 2004.

Il Parlamento  aveva stabilito che:

4. All’articolo 4, comma 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:a) al secondo periodo sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ovvero l’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine senza l’indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera»;

b) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica».”

L’ampio dibattito suscitato dalla suddetta norma portò successivamente ad un nuovo intervento del nostro legislatore, che con l’art 16, del D.L 25 settembre 2009, n. 135, ha nuovamente disciplinato la materia riscrivendone i contenuti.

Questo è il nuovo testo che acquisterà efficacia dall’11 novembre 2009 e disciplinerà nel nostro Paese la problematica del “Made in Italy”:

”[omissis]

Art. 16 –  D.L 25 settembre 2009, n. 135

Made in Italy e prodotti interamente italiani  

1. Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano.2. Con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, per le politiche europee e per la semplificazione normativa, possono essere definite le modalità di applicazione del comma 1.

3. Ai fini dell’applicazione del comma 4, per uso dell’indicazione di vendita o del marchio si intende la utilizzazione a fini di comunicazione commerciale ovvero l’apposizione degli stessi sul prodotto o sulla confezione di vendita o sulla merce dalla presentazione in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e fino alla vendita al dettaglio.4. Chiunque fa uso di un’indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, e’ punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall’articolo 517 del codice penale, aumentate di un terzo.

5. All’articolo 4, comma 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, dopo le parole: «pratiche commerciali ingannevoli» sono inserite le seguenti: «, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis,». 6. Dopo il comma 49 dell’articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sono aggiunti i seguenti:“49-bis – Costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto.Il contravventore e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.

49-ter. E’ sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che le indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell’illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore.». 7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 si applicano decorsi quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.8. L’articolo 17, comma 4, della legge 23 luglio 2009, n. 99, e’ abrogato. …[omissis ] ”

In pratica l’articolo sopra riportato sanziona tre diverse modalità di contraffazione:

1) indicare il prodotto come interamente realizzato in Italia

2) la falsa indicazione di provenienza (es: calzature realizzate all’estero ma riportanti il marchio “made in Italy”

3) la fallace indicazione di provenienza (far credere al consumatore che il prodotto sia di origine italiana).


Quando è lecito usare le diciture: “100% Made in Italy”, “interamente realizzato in Italia”, “tutto italiano” etc.

Il decreto legge prevede che l’uso di tali espressioni è consentito solamente per quei prodotti per i quali il disegno, la progettazione, la lavorazione e il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano.

Quando è lecito usare la dicitura “Made in Italy” anzichè “100% made in Italy” su prodotti non realizzati interamente in Italia.  

Il termine Made in Italy può essere usato per tutti i prodotti classificabili come originari dell’Italia ai sensi del Codice Doganale europeo.Di fatto si può indicare “l’origine italiana”  se l’ultima trasformazione sostanziale del prodotto è avvenuta in Italia.

…della serie “Fatta la Legge, trovato l’inganno!”

Per usare il termine “Made in Italy” non occorre quindi che il prodotto sia interamente realizzato in Italia ma e sufficiente la sola “origine italiana” ai sensi delle norme comunitarie!
Si pensi alle calzature da bambino progettate in Italia che per risparmiare sulla manodopera vengono assemblate in Cina o  in Romania.

La differenza tra “falsa indicazione di provenienza” e “fallace indicazione di provenienza”.

Secondo quanto è scritto nella norma, la “falsa indicazione” si configura nel caso di uso improprio dell’indicazione “Made in Italy” per quei prodotti non di origine italiana.

Per  “fallace indicazione” si intende, invece, l’uso di simboli, figure, marchi aziendali etc., che possono indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana.

Ancora una volta è possibile constatare l’ambiguità dei termini usati dal legislatore.
Evidentemente un linguaggio giuridico, semplice e chiaro, non fa parte del patrimonio culturale dei nostri Onorevoli, nonostante che, da quello che risulta, il 60-70% di loro sono avvocati o laureati in materie giuridiche!

Alla fine, una volta che il Decreto Legge sarà convertito in legge, interverrà come al solito il Ministero competente con l’ennesima circolare chiarificatrice che magari, come ormai siamo abituati, tenterà addirittura di cambiare la norma ignorando la gerarchia delle fonti del diritto.


Le sanzioni applicabili
Per chi viola i contenuti della norma, il legislatore ha previsto sanzioni abbastanza pesanti.

L’uso improprio di indicazioni di vendita che presentano il prodotto come interamente realizzato in Italia è punito con le pene previste dall’art. 517 c.p. ovvero la reclusione fino a due anni o multa fino a 20.000 Euro, aumentate di un terzo.
Si potrà inoltre disporre il sequestro della merce.

Le false indicazioni di provenienza o di origine e le fallaci indicazioni sono invece punite con le pene di cui all’art. 517 c.p. senza l’aumento di un terzo delle stesse.

La possibilità di sanare le condotte sanzionate

La normativa in vigore prevede che la falsa indicazione può essere sanata sul piano amministrativo apponendo sul prodotto l’esatta indicazione dell’origine o asportando o cancellando la stampigliatura “Made in Italy”.

Anche la fallace indicazione può essere sanata sul piano amministrativo con l’asportazione a carico del contravventore delle indicazioni che inducono a ritenere che il prodotto sia di origine italiana.

Piero Nuciari

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