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La somministrazione di pesce crudo nei ristoranti

Dopo il “boom” dei ristoranti cinesi, nel nostro Paese stanno ora spuntando come funghi i ristoranti di cucina giapponese dove vengono serviti piatti con pesce crudo.

Il sushi è un cibo a base di riso cotto condito con aceto di riso, zucchero e sale e combinato con un ripieno o guarnizione di pesce, alghe, vegetali o uova. Il ripieno può essere crudo, cotto o marinato e può essere servito disperso in una ciotola di riso, arrotolato in una striscia di alga o disposto in rotoli di riso o inserito in una piccola tasca di tofu.

In Giappone la parola sushi si riferisce ad una vasta gamma di cibi preparati con riso, mentre da noi viene spesso inteso come pesce crudo.
Tutti noi sappiamo che mangiare pesce crudo potrebbe essere pericoloso per la salute, tuttavia la curiosità di sperimentare questa nuova cucina esotica in ristoranti orientali o quasi, vince molto spesso le paure e le riluttanze dettate dai principi igienici con i quali siamo stati educati.

Mangiare pesce crudo comporta sicuramente un maggior rischio di intossicazioni e infezioni causate da batteri patogeni, oppure di infezioni da parte di parassiti.
Questo alimento, infatti, potrebbe essere paragonato ad una roulette russa, visto che le contaminazioni da microrganismi che provocano infezioni o tossinfezioni, come Listeria, Escherichia coli, Salmonella, etc. sono sempre in agguato; tuttavia il rischio maggiore per chi consuma pesce crudo si chiama Anisakis.

Per chi non segue le problematiche relative all’igiene alimentare, l’anisakis simplex potrebbe essere un perfetto sconosciuto, alla pari di tanti parassiti che vivono negli intestini degli animali; nella realtà è un verme parassita che infesta comunemente un gran numero di piante e di animali, tra i quali numerosi mammiferi marini (foche, delfini, etc) e molti pesci tra cui tonno, salmone, sardine, acciughe, merluzzi, naselli e sgombri.

Questo nematode (ovvero, piccolo verme) è presente nell’85% delle aringhe, nell’80% delle triglie e nel 70% dei merluzzi; esso ha la caratteristica di migrare dalle viscere del pesce alle sue carni se, quando catturato, non viene prontamente eviscerato.
E’ lungo da uno a tre centimetri, di colore bianco o rosato, sottile come un capello, e lo si può riconoscere ad occhio nudo nelle viscere dei pesci perchè tende a presentarsi spesso arrotolato su se stesso.

Quando l’uomo mangia pesce crudo, non completamente cotto o in salamoia, le larve, se presenti, possono impiantarsi sulla parete dell’apparato gastrointestinale, dallo stomaco fino al colon. Il loro istinto di sopravvivenza è terribile perché per difendersi dai succhi gastrici, attaccano le mucose arrivando addirittura a perforarle, causando una parassitosi acuta o cronica.

In genere questa patologia insorge già dopo poche ore dall’ingestione di pesce crudo e si manifesta, secondo i testi di medicina, con intenso dolore addominale, nausea, vomito, febbre e diarrea; sintomi che in molti casi si prestano ad essere scambiati per altre patologie gastrointestinali, quali la rettocolite ulcerosa, il Morbo di Crohn, la neoplasia intestinale o l’appendicite acuta; nei casi più gravi può provocare un’occlusione intestinale e l’unico rimedio, a questo punto, rimane l’intervento chirurgico, con il rischio anche dell’asportazione di un tratto d’intestino invaso dai parassiti.

Nella sua opera di insediamento nel tratto gastrointestinale, questo verme può anche minare altri organi come fegato, milza, pancreas, vasi ematici e miocardio.
In individui colpiti sono state riscontrate anche reazioni allergiche che in alcuni casi hanno portato a addirittura allo shock anafilattico.

Niente male, quindi, per aver assaggiato del semplice pesce crudo!

 Da un’indagine dei Nas, comparsa tempo fa in internet, sono emersi dati veramente allarmanti sui ristoranti che servono sushi e sashimi,  visto che è stato accertato che parecchi di questi locali sono gestiti da cinesi, che si improvvisano cuochi senza alcuna esperienza nella preparazione di pietanze a base di ingredienti crudi e spesso senza osservare pienamente le norme igienico-sanitarie.

Mentre in Giappone, gli esperti di sushi debbono obbligatoriamente avere uno specifico patentino, in Italia (ma anche in Europa), tutto è basato sull’HACCP.
I manuali di corretta prassi igienica, lodevole iniziativa europea, hanno però il difetto di avere per i ristoranti un contenuto di carattere generale che non scende, a volte, nelle preparazioni particolari.

Un ristorante che ad esempio decidesse di passare, dopo qualche anno di cucina tradizionale italiana, al sushi, difficilmente avrà previsto nel suo manuale HACCP questa evenienza, i controlli da effettuare, l’individuazione dei punti critici di controllo, le azioni correttive, etc.

Il ristoratore potrebbe quindi non sapere che per evitare i problemi sopra descritti, occorre sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare crudo. Infatti l’anisakis e le sue larve muoiono se sottoposti a 60 gradi di temperatura, oppure dopo 96 ore a -15° C, 24 ore a -20° C, 12 ore a –30° C, 9 ore a -40° C.
E’ bene sapere che il limone e l’aceto non hanno alcun effetto sul parassita.

La normativa in vigore

Al fine di tutelare i consumatori, dal 1992 in Italia è in vigore un ordinanza che vieta a ristoranti e punti di ristorazione collettiva di servire pesce crudo, marinato o affumicato a freddo a meno che non sia stato precedentemente congelato (-20°C) per almeno 24 ore (Ordinanza Ministeriale del 12/05/1992 avente come oggetto: Misure urgenti per la prevenzione delle parassitosi da Anisakis).

Il regolamento CE n. 853/04 ha esteso l’obbligo di tale pratica a tutti i prodotti ittici destinati ad essere consumati crudi o sottoposti a trattamenti di marinatura o salatura non in grado di inattivare le larve.
Recentemente il Ministero della Salute ha emanato la Circolare n. 4379-P del 17/02/2011 avente come oggetto: Chiarimenti concernenti alcuni aspetti applicativi del Regolamento CE n. 853/2004 in materia di vendita e somministrazione di preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi.

Nella circolare viene evidenziato l’obligo previsto dal regolamento europeo di congelare (trattamento di bonifica preventiva) ad una temperatura non superiore a -20 °C e per 24 ore, il pesce (anche di acqua dolce) destinato ad  essere somministrato crudo.

Degno di nota è la precisazione che viene fatta nella circolare relativamente al contenuto del punto 3, dell’allegato III, sezione VIII, capitolo 3, lettera D del regolamento CE 853/2004, il quale prescrive che i prodotti della pesca che hanno subito il trattamento di bonifica preventiva mediante congelamento a – 20°C, debbano sempre essere accompagnati, alla loro immissione sul mercato, da un’attestazione del produttore che indichi il trattamento ai quali sono stati sottoposti, salvo qualora siano forniti al consumatore finale.

Pertanto, nel caso in cui un esercizio di somministrazione acquisti prodotti della pesca già sottoposti al trattamento considerato, da destinarsi ad essere consumati crudi o in preparazioni gastronomiche ove rimangono praticamente crudi, dovrà richiedere al fornitore la prevista certificazione, da tenere agli atti e da esibire a richiesta degli organi di controllo.

Nell’ipotesi in cui il trattamento di bonifica preventiva sia praticato direttamente all’interno dell’esercizio di somministrazione, gli obblighi previsti dalle legge sono i seguenti:
1) comunicazione preventiva all’Autorità competente nell’ambito della notifica ai fini della registrazione o del suo aggiornamento;

2)  dotarsi di idonea e proporzionata apparecchiatura per l’abbattimento della temperatura ad almeno – 20 ° C; tale attrezzatura, utilizzata specificamente per effettuare il trattamento di bonifica, non deve essere utilizzata promiscuamente per la conservazione di pesce o altri prodotti congelati;

3) predisporre ed adottare apposita procedura scritta finalizzata al controllo dei parassiti, basata sui principi dell’HACCP, tenendo in considerazione almeno i seguenti elementi: 1) apparecchiatura/tecnologia in uso; 2) pezzatura dei prodotti che si intendono trattare e tempi previsti per il raggiungimento e mantenimento della temperatura di – 20 ° C a cuore del prodotto 3) specie di parassita e tempi di trattamento necessari per garantirne l’uccisione mediante congelamento a temperatura non superiore a – 20 °C;

4) identificazione del/dei CCP di processo e modalità per il controllo;

5) effettuare e mantenere la registrazione dei dati di monitoraggio del/dei CCP (es: quantità e pezzatura del pesce sottoposto a trattamento incluse temperature e tempi di congelamento) e la data di consumo/vendita per permettere all’AC di effettuare le opportune verifiche sui prodotti trattati ai sensi del regolamento (CE) 853/2004, allegato III, sezione VII, capitolo 3, lettera D, punto 3 ed i prodotti congelati. Le registrazioni dovranno essere tenute agli atti ed esibite su richiesta degli organi di controllo;

6) Il congelamento finalizzato alla bonifica preventiva del pesce è un procedimento espressamente richiesto dalla normativa vigente, applicato per un determinato lasso temporale e volto alla tutela della salute del consumatore. Per corretta informazione sul trattamento può essere utilizzata la dicitura: conforme alle prescrizioni del regolamento (CE) 853/2004, allegato III, sezione VII, capitolo 3, lettera D, punto 3.

Alla luce di quanto sopra esposto è da evidenziare che il pesce scongelato non può essere nuovamente ricongelato e che nell’ipotesi in cui, durante un controllo commerciale, venisse accertato che il pesce crudo servito alla clientela è fresco e non sottoposto al procedimento di bonifica preventiva, il commerciante soggiace alle sanzioni previste dall’articolo 5, della legge n. 283/62 oltre a quelle previste dal D.Lgs. n. 193/2007.

Piero Nuciari

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