La vendita delle uova
Relativamente a questo prodotto, è da dire che negli ultimi anni si sono succedute diverse direttive europee e normative italiane al fine di disciplinare il settore.
Nel 2003, viene promulgato il D.Lgs. 29 luglio 2003 n. 267 avente come oggetto “Attuazione delle direttive 1999/74/CE e 2002/4/CE, per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento”.
Nel 2004, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, ha pubblicato la Circolare 19 gennaio 2004, n.1, avente come oggetto “Regolamento (CEE) n. 1907/90 del Consiglio, del 26 giugno 1990, sulla commercializzazione delle uova e del regolamento (CE) n. 2295/2003 della Commissione, di applicazione”.
Nel 2005, lo stesso Ministero ha emanato il Decreto 4 marzo 2005, avente come oggetto “Modalità per l’applicazione di disposizioni comunitarie in materia di commercializzazione delle uova, concernenti l’uso di particolari diciture, ai sensi del regolamento (CE) n. 2295/2003 della Commissione del 23 dicembre 2003 e del decreto legislativo del 29 luglio 2003, n. 267”.
Come tutti avranno notato, dal 1° gennaio 2004, sulle uova poste in vendita dalla grande distribuzione negli esercizi commerciali del settore alimentare e, dal 1° luglio 2005, anche su quelle poste in vendita dai piccoli allevatori, sono stampate delle sequenze di lettere e numeri.
Queste “stampigliature” sono il frutto di un obbligo di legge europeo definito “tracciabilità o rintracciabilità” (Regolamento CEE 2295 del 2003).
Anche se d’acchito può sembrare che queste due parole abbiano lo stesso significato, in realtà indicano due concetti molto differenti.
Per tracciabilità si intende il percorso da monte a valle e cioè la possibilità di seguire il processo produttivo delle materie prime fino al prodotto finito.
Rintracciabilità significa, invece, avere la possibilità di ripercorrere il processo produttivo a ritroso, da valle a monte e cioè dal prodotto finito, all’origine della materia prima; nel nostro caso, grazie alle stampigliature, sarà possibile risalire alla storia dell’uovo fino alla gallina che lo ha deposto.
Il significato del codice stampigliato sul guscio
La prima cifra a sinistra, che va da 0 a 3, indica il tipo di allevamento che ha prodotto l’uovo: biologico, a terra, all’aperto o in gabbia.
Le due lettere che seguono “IT” attestano che l’uovo è stato prodotto in Italia.
Le tre cifre che seguono rappresentano il codice ISTAT del Comune dove ha sede l’allevamento.
Le ultime due lettere stanno invece ad indicare la Provincia (Es: VR, AN, AP, MI, NA ).
Le tre ultime cifre finali sono il codice dell’allevamento
Un chiarimento sulle varie modalità di allevamento (*)
0 = allevamento biologico
L’allevamento contemplato dai canoni dell’agricoltura biologica è unicamente quello ruspante – almeno secondo i protocolli della Bioland®. Gli animali devono avere sempre a disposizione dei piccoli stagni nei quali poter sguazzare, e nel pollaio sono presenti anche dei galli..
Il mangime è di esclusiva provenienza biologica controllata, e costituito principalmente da cereali e mais. L’impiego di additivi per favorire la crescita, amminoacidi sintetici, mangimi modificati geneticamente, farine di pesce è severamente vietato. I pulcini devono essi stessi provenire da allevamenti biologici, e gli animali per queste forme di allevamento vengono normalmente selezionati tra le razze più robuste e meno esposte alle malattie, anche se non estremamente produttive o di rapido sviluppo corporeo come invece si preferisce avere negli allevamenti convenzionali. I pollai a conduzione biologica vengono controllati regolamenti da Enti di certificazione indipendenti.
1 = a terra
Per allevamento a terra si intende la conduzione delle galline ovaiole in grandi capannoni nei quali esse possono muoversi “liberamente”. La densità di polli per m² non può superare il numero di sette, ed il pavimento del pollaio deve venire sparso per almeno un terzo della sua superficie con granaglie che permettano ai polli di beccare e razzolare. La covata delle uova avviene in nidi comuni, mentre per il mangime e l’acqua sono disponibili vaschette di dimensioni analoghe a quelle previste per l’allevamento in batteria.
I polli non hanno però alcun appoggio o trespolo, e l’illuminazione che ricevono è sempre di tipo artificiale, senza alcuna possibilità di uscita all’aperto. Nei pollai più affollati e poco arieggiati si può ben presto sviluppare una concentrazione di vapori di ammoniaca che rende la vita difficile agli animali. Tutte queste limitazioni portano i polli a sviluppare una grande aggressività (si beccano e si strappano le penne l’uno con l’altro) e una diminuita resistenza alle malattie. Per impedire tali forme di aggressività reciproca, spesso a queste galline viene mozzato il becco bruciandone o strappandone la punta. Anche se l’animale non soffre per questa amputazione, esso non potrà mai più beccare normalmente.
2 = all’aperto o ruspante
Garantisce il maggior rispetto per la specie avicola nell’ambito dell’allevamento commerciale. In questo caso le galline ovaiole hanno a disposizione una stalla che deve soddisfare le stesse caratteristiche viste per l’allevamento a terra, ma in più gli animali possono spostarsi dalla stalla verso uno spazio all’aperto e viceversa. Per ogni ettaro a cielo aperto possono essere tenuti un massimo di 2.500 polli: si ha cioè una superficie per singolo animale che tocca i 4 m².
Lo spazio all’aperto deve inoltre essere coperto in massima parte da un manto erboso o da colture vegetali. I controlli volti ad accertare il rispetto di queste condizioni sono demandati al competente Ufficio presso l’Assessorato all’Agricoltura, nonché al veterinario provinciale.
3 = allevamento in batteria
Si tratta di un allevamento effettuato esclusivamente in gabbie di filo di ferro alte almeno 40 cm, con una superficie di 550 cm² per singola gallina (in un m² ne vengono stipate 18). Ogni animale ha a disposizione delle vaschette per l’acqua ed il mangime su una lunghezza di almeno 10 cm. Il fondo della gabbia si presenta inclinato, con una pendenza che nel caso della rete in filo di ferro arriva fino al 14%, ma che può anche essere maggiore se il materiale lo consente. Queste gabbie devono essere dotate di un dispositivo che permette di accorciare gli artigli; la luce è sempre quella artificiale, e spesso essa viene tenuta accesa anche oltre la durata di una normale giornata solare, per accrescere la produzione di uova.
L’allevamento in batteria dovrà essere definitivamente abolito per legge in tutta Europa con il primo gennaio 2012.
(*) Fonte: www.centroconsumatori.it
Va sottolineato che, oltre alle indicazioni sul codice stampigliato sull’uovo, sono riportate altre informazioni anche sulle confezioni. Per legge devono obbligatoriamente apparire la data di consumo preferibile, la categoria di qualità e di peso, il numero di uova confezionate, il nome e la ragione sociale o il marchio commerciale del centro di imballaggio, le modalità di conservazione.
Sulle confezioni, inoltre, le aziende possono inserire anche alcune informazioni facoltative: dalla data di deposizione a quella di imballaggio, dal tipo di allevamento all’alimentazione fornita alle galline.
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Nota
Dal momento che la normativa è valida solo per i Paesi dell’Unione Europea, per quanto riguarda la produzione da parte dei Paesi terzi, la dicitura sugli imballaggi è la seguente: “sistema di allevamento indeterminato”.
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Un esempio di rintracciabilità delle uova
Su “Il Venerdì” di Repubblica, del 18/06/2004, è stato rappresentato un esempio di rintracciabilità che si riporta per la sua completezza.
L’uovo oggetto dell’operazione di rintracciabilità, era stato comprato a Roma ed aveva stampigliata questa sigla: 2IT059VT673.
”Secondo la COOP che ha fornito i dati, questo è il percorso dall’uovo alla gallina:
allevato a terra, italiano, Comune di Viterbo, Provincia di Viterbo, fattoria di Raffaella Gaggi in Grotte Santo Stefano. Questo dice il codice. Successivamente la COOP, sempre seguendo la filiera, è riuscita a fornire anche i seguenti dati:
i pulcini del gruppo che ha prodotto l’uovo sono stati acquistati a Coccolato D’asti, sono nati il 16 Gennaio 2003, di razza HY-LINE Brown, sono stati consegnati il 17 gennaio allo svezzatore (Canotti, a Savignano sul Rubicone), sono stati nutriti con mangimi <<senza OGM>> della M.B. Mangimi di Longiamo (Forlì-Cesena). Hanno subito un esame per salmonellosi il 3 maggio, con esito negativo. Sono stati quindi “accasati” da Raffaella Gaggi a 111 giorni di vita. Qui sono stati nutriti con mangimi Superstella di Forcole Amelia (Terni), con alimenti esclusivamente vegetali, senza Ogm. Nel resoconto c’è anche il lotto del mangime, prodotto il 18 maggio alle 9.58, il silos di stoccaggio (n. 47), un nuovo esame per la salmonella. Poi la data di deposizione (2 giugno 2004). L’uovo è stato selezionato a Sant’Angelo di Mescole (PG), imballato il giorno stesso ed inviato all’interporto di Roma, via Collatina (verso le 22.30). Smistato con automezzo (Tg. CC821CL) fino all’Ipercoop casilina la mattina del 3 giugno. Lì è stato comprato”.
Come è possibile constatare dall’esempio sopra riportato, in caso di emergenze sanitarie, il codice è fondamentale per le aziende strutture sanitarie allo scopo di avere informazioni dettagliatissime.
Nell’ipotesi di salmonellosi, ad esempio, tramite il codice è possibile risalire in tempi brevissimi al produttore dell’uovo, al capannone dal quale è uscito e al gruppo degli animali sospetti che lo ha prodotto.
Il sistema di allevamento e il codice identificativo del produttore
Il Decreto 4 marzo 2005 prevede che sulle confezioni delle uova, le imprese in possesso dell’autorizzazione a funzionare quali centri d’imballaggio, debbano apporre sugli imballaggi delle uova della categoria “A”, una delle seguenti diciture atte ad individuare il sistema di allevamento: “Uova da allevamento all’aperto”, “Uova da allevamento a terra”, “Uova da allevamento in gabbie”,”Uova da agricoltura biologica”.
Dalla data di entrata in vigore del succitato Decreto, tutti i detentori di galline ovaiole devono ottenere la registrazione dell’allevamento ed il rilascio del codice identificativo del produttore e del sistema di allevamento delle ovaiole, secondo le modalità prescritte dal decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267. Si evidenzia che dal 1° luglio 2005, tale obbligo vale anche per i piccoli produttori che allevano meno di 350 galline e che non ricadono nell’applicazione del predetto Decreto Legislativo. A partire da questa data, infatti, per poter vendere le uova sui mercati locali è necessario rispettare i requisiti minimi per il benessere delle ovaiole di cui alla vigente normativa ed essere in possesso del codice identificativo.
Uova vendute sfuse
Nel caso di uova vendute sciolte, non classificate o di uova sfuse originariamente contenute in un grande imballaggio, dovranno essere indicate in modo chiaro e ben visibile, con apposito cartello, le seguenti informazioni:
1) categoria di qualità;
2) categoria di peso;
3) numero distintivo del produttore, con relativa spiegazione del significato;
4) numero di identificazione del centro di imballaggio;
5) data di durata minima;
6) modalità di conservazione dopo l’acquisto;
7) Prezzo.
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Nota
Queste indicazioni sono entrate in vigore il 1° luglio 2005 e sono obbligatorie anche per i piccoli produttori
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Classificazione delle uova
In base alla Circolare del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 19 gennaio 2004, n.1, avente come oggetto “Regolamento (CEE) n. 1907/90 del Consiglio, del 26 giugno 1990, sulla commercializzazione delle uova e del regolamento (CE) n. 2295/2003 della Commissione, di applicazione”, dal 1° gennaio 2004, le uova dovranno essere classificate dai centri d’imballaggio solamente in due categorie di qualita’:
uova «A» (o «uova fresche»), destinate al consumo umano;
uova «B», destinate alle industrie alimentari e non alimentari.
Scompare quindi la categoria «C» che e’ ora ricompresa nella categoria «B».
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Nota
Le uova possono essere chiamate “extra” (cioè freschissime) fino al 7° giorno dalla data di imballaggio o fino al 9° giorno dalla data di deposizione della gallina.
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In fase di acquisto è una buona regola quella di controllare la data di scadenza. Se le uova sono invece vendute sfuse, è possibile provare a verificarne la freschezza (naturalmente col metodo del campione).
Il test per verificare la freschezza
E’ possibile verificare la freschezza delle uova con i test di seguito descritti:
1) Se agitando l’uovo sentite un suono tipo “ciac ciac”, significa che la camera d’aria è già abbastanza grande e l’albume acquoso. Il tuorlo che sbatte vuol dire che l’uovo non è più molto fresco;
2) Altro metodo è quello di porre l’uovo in un recipiente pieno d’acqua. Le uova molto fresche rimangono sul fondo. Le uova di circa sette giorni iniziano a stare in piedi, con la punta rivolta verso l’alto. Se l’uovo galleggia sulla superficie ha almeno 21 giorni (la sua camera d’aria è già sufficientemente grande da permettergli di galleggiare);
3) Anche la tecnica della luce risulta essere molto valida. Per effettuare questo test occorre tenere l’uovo di fronte ad un’intensa fonte di luce. Le uova crude fresche sono semitrasparenti. Ma se si gira l’uovo, il tuorlo rimane nel centro. Nelle uova più vecchie il tuorlo comincia a spostarsi.
L’iter dell’uovo dopo la deposizione
Le uova, una volta deposte, hanno una vita regolata da tempi rigidi che riguardano il confezionamento, la vendita e la conservazione.
Il 3° giorno dopo la deposizione costituisce, infatti, l’ultima data utile per l’imballo; una volta confezionate possono essere commercializzate fino al 9° giorno con il marchio “Extra” o “Extra fresche”, successivamente debbono essere vendute senza questa dicitura e a un prezzo logicamente inferiore.
Dopo il nono giorno debbono essere conservate in un luogo fresco e asciutto.
Dopo il 18° giorno debbono essere conservate in frigorifero e dal 22° giorno in avanti debbono essere consumate velocemente e non possono più essere vendute ai consumatori.
E’ da evidenziare che la data di preferibile consumo si considera superata il 28° giorno dalla deposizione.
Il pericolo delle uova: la salmonella
Tutte le precauzioni sopra descritte sono state messe a punto dal legislatore nel corso degli anni per scongiurare il principale pericolo per i consumatori costituito dalla salmonella, che come tutti sapranno, è un agente batterico che può causare gravi patologie intestinali.
Per nostra fortuna la salmonella si trova molto raramente nelle uova e se la gallina è portatrice di questa malattia e la elimina con le feci, i germi possono essere trasferiti all’uovo tramite lo sporco che si trova sul guscio.
Acquistare uova dal contadino, dove non vige alcun controllo di natura igienica, può costituire un pericolo per la nostra salute, visto che spesso le uova vengono deposte a terra, in giacigli improvvisati, a volte vicino allo sterco di altri animali..
È bene rammentare che piccole incrinature nel guscio possono permettere l’ingresso nell’uovo del batterio eventualmente presente nelle feci della gallina. Nel mondo, si stima che il 50% delle epidemie di salmonellosi è dovuto a uova contaminate, mentre la carne bovina e suina (consumata cruda o poco cotta) e i derivati del latte possono provocare, rispettivamente, il 15% e il 5% dei casi.
Le uova provenienti da allevamenti controllati, anche se qualitativamente sono nettamente inferiori rispetto a quelle del contadino, garantiscono comunque una maggiore sicurezza dal punto di vista igienico, dovuta alle norme nazionali ed europee in vigore.
Dal punto di vista della potenziale contaminazione da salmonella, è da dire che più l’uovo è fresco e minori sono le possibilità che la salmonella possa proliferare.
Anche le temperature sono importanti: a temperature inferiori ai 6 °C i batteri rallentano la loro moltiplicazione, mentre a temperatura ambiente si riproducono invece velocemente.
E’ da evidenziare che una volta presenti, i batteri della salmonella riescono a sopravvivere sia al raffreddamento che al congelamento.
L’unico modo per eliminarli è costituito dalle alte temperature; vengono infatti distrutti solo a temperature superiori ai 70 °C.
La vendita delle uova sfuse
Per la cessione di uova al mercato, direttamente in allevamento o in un negozio di proprietà del produttore, gli obblighi previsti dalla normativa in vigore si ritengono assolti con l’apposizione di un cartello – nei pressi del contenitore contenente le uova – con riportati il nome ed il luogo dell’azienda produttrice, il numero di registrazione dell’allevamento ed il suo significato (allevamento a terra, in gabbia ecc), la data di raccolta delle uova e la data di scadenza pari a 21 giorni dalla data di deposizione (in genere 15 giorni dalla data di raccolta).
Nell’ipotesi in cui le uova vengano cedute in un negozio non di proprietà del produttore, oltre alle indicazioni precedenti, il produttore dovrà consegnare al venditore le uova accompagnate da un documento di trasporto, con il quale si assicuri la rintracciabilità delle stesse.
Per la cessione con il sistema porta a porta o presso attività produttive, il produttore dovrà invece consegnare all’acquirente le uova accompagnate da un documento in doppia copia, contenente le informazioni atte a consentire la rintracciabilità delle stesse e i dati riportati nel cartello.
Piero Nuciari
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