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Le denominazioni di vendita ingannevoli delle farine

Da qualche anno, girando nei supermercati, è possibile notare confezioni di farine con denominazioni fantasiose e accattivati, capaci di suscitare nella mente dei consumatori il desiderio di acquistare il prodotto che dal nome e dalla immagine sembrerebbe “diverso”.

E’ una forma di marketing tesa a incentivare le vendite di prodotti normali esaltando una presunta qualità che non hanno, violando  leggi e regolamenti europei in vigore che vietano espressamente queste tecniche di vendita con sanzioni pesanti.
E’ risaputo che se si volesse nascondere qualcosa a qualcuno la tecnica migliore è mettergliela sotto il naso e così non la vedrebbe!
Questo è quello che da tre o quattro anni  sta accadendo nei supermercati, vendite online sui siti aziendali, forniture per professionisti  nello specifico  settore degli sfarinati in Italia!

Infatti, nonostante le leggi in vigore vietino espressamente l’uso di determinati claims, le confezioni di farine con riportati a caratteri cubitali la descrizione di tecniche di produzione del tipo “macinatura a pietra” anziché quella classica “a cilindri” oppure “farina di Tipo 000, farina semintegrale, farina di segale tipo 2, macinato intero, farina integra, farina di grano tenero, integrale tutto corpo, farina integrale da macinazione extravergine, farina tipo manitoba, etc.” sono poste tranquillamente in vendita in massa nella grande distribuzione al punto che diventa normale vederle dappertutto.

Questa “normalità”, probabilmente, è la causa del non intervento degli organismi addetti al controllo, che inspiegabilmente  “tollerano” questo tipo di marketing severamente vietato da norme italiane e europee.

Ma cerchiamo di descrivere brevemente il “mondo” delle farine, uno degli alimenti fondamentali della “dieta mediterranea”, argomento disciplinato da moltissimi anni da specifiche  norme italiane e europee.

Quando si parla di farine, dobbiamo pensare ad un mondo in continuo cambiamento dove da circa dieci anni a questa parte le cose sono cambiate velocemente adattandosi al progresso, alle normative, al business travolgendo i panificatori artigiani.

E’ da dire che in Italia  la normativa di riferimento che regola il commercio degli sfarinati, sia di grano tenero sia di duro, a parte i Regolamenti comunitari trasversali, è rimasta fino ad ora invariata.

Proviamo ad analizzare storicamente, in una finestra temporale di circa cinquantadue anni,  la Legge 580/67 che delineava, nei primi cinque articoli, le caratteristiche dei cereali da passare in macinazione da un punto di vista sanitario, dei locali, deposito, ecc., di cui in parte poi ripresi nell’art. 4 del DPR187/01, Decreto 18 luglio 2018.

Quelli che furono il cardine del commercio degli sfarinati dal 1967 al 2001 e le loro denominazioni di vendita, furono gli articoli successivi come l’art.6, 7,8,9 in cui si citavano espressamente sia i tipi sia le specifiche denominazioni di vendita della farina di grano tenero e gli sfarinati di grano duro e le loro legali caratteristiche. Nella fattispecie, per la farina di grano tenero (come da definizione nell’art.6), l’art.7 così recitava: “le farine di grano tenero destinate al commercio possono essere prodotte soltanto nei tipi e con le caratteristiche seguenti…”.

  • Farina tipo 00
  • Farina tipo 0
  • Farina tipo 1
  • Farina integrale
  • Farina tipo 2

Di cui il successivo art. 13 imponeva l’obbligo delle denominazioni riportate oltre all’art. 13 Legge 283/62 con le successive modifiche e integrazioni (D Lgs 507/99 ecc.). Dopo trentaquattro anni, con l’entrata in vigore del DPR 187/01 e successive modifiche e integrazioni, sono stati abrogati gli art. 6,7,8,9,10,11,12,13,28,29,30,31,32,33,34,35,36 della Legge 580/67 a favore di un DPR apposito e specifico per sfarinati, pasta, ecc.

Attualmente, proprio in virtù delle modifiche apportate all’art. 7 dallo stesso art. 1 del DPR 187/01, le denominazioni legali di vendita delle farine di frumento tenero sono diventate:

  • Farina di grano tenero tipo 00
  • Farina di grano tenero tipo 0
  • Farina di grano tenero tipo 1
  • Farina di grano tenero 2
  • Farina integrale di grano tenero

Passando da “farina tipo 00” a “farina di grano tenero tipo 00” e cosi via, mostrando, rispetto al vecchio art. 7 Legge 580/67, la ben evidente volontà del legislatore di evidenziare già nel 2001 la specifica del cereale utilizzato (grano  tenero); volontà diventata un obbligo imprescindibile dal 2011 in quando allergene secondo appunto l’All. II Reg. Ue 1169/11.

Un altro fatto distintivo tra le due denominazioni di vendita, quella della vecchia 580/67 e l’attuale 187/01, è rappresentato dal fatto che non si riporta più il valore massimo di cellulosa e minimo del glutine secco.  Sul fatto che Il DPR 187/01 sia obsoleto, non aggiornato (d’altra parte prima di aggiornare la Legge 580 sono passati trentaquattro anni) limitante, ecc., non interessa molto, perché in assenza di abrogazione e/o aggiornamento è e resta, allo stato attuale e da diciotto anni a questa parte, la normativa italiana specifica di riferimento per la commercializzazione e la corretta denominazione di vendita degli sfarinati.

C’è poi da fare un’altra importante considerazione: molto spesso si cerca di attribuire alla farina di grano tenero proprietà che non ha, evidenziando e sottolineando con messaggi di puro marketing, scomodando spesso la PNL (programmazione neuro linguistica) per la vendita , come la farina macinata a pietra abbia proprietà differenti da quella macinata a cilindri incorrendo in una palese violazione dell’art. 7 comma 1 sottocomma b Reg. Ue 1169/11 “…attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede” o ancora sottocomma c “suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche…”

Una vera truffa per il consumatore ed inspiegabilmente “tollerata” dagli organismi addetti al controllo.
Tutti, nessuno escluso!

Le caratteristiche legali dei tipi ammessi con le rispettive denominazioni di vendita sono appunto quelle citate nel DPR 187/01 nel quale non si fa alcun riferimento alla macinazione pertanto, che sia macinata a pietra o a cilindri, è ininfluente poiché la denominazione legale di vendita è quella; “ farina di grano tenero tipo 0, tipo 1, ecc.” e deve rispettare l’obbligatorietà dei valori riportati nel DPR 187/01.

In sintesi: non esiste nessun valore distintivo e/o differente tra le due macinazioni, non esistono proprietà “magiche” per le farine macinate a pietra, non esistono migliorie salutistiche, benessere,  come i mass media, dietologi, nutrizionisti e gli influencer aziendali vogliono far credere, non esiste la farina semintegrale, non esiste la farina 000, non  esiste nulla di tutto questo se non per puro business, truffa e marketing aziendale!

Le sanzioni 

Tale palese violazione, per soli fini di marketing, espone  le aziende molitorie, che non ignaro ma che volutamente cavalcano l’onda della disinformazione per puro business,  nella violazione dell’art.7, Reg. 1169/11 e nella norma sanzionatoria prevista dall’art. 3 DL 231/18. (Sanzione da 3.000 a 24.000 euro) oltre alla potenziale segnalazione all’Antitrust.

Purtroppo la Polizia Locale, alla quale appartengo, ha, per legge, un limite territoriale di intervento per cui può intervenire solo all’interno del territorio comunale.

Non posso dire la stessa cosa per NAS, Carabinieri del Corpo Forestale e gli altri organi per la tutela degli alimenti che operano sull’intero territorio nazionale.

Negli ultimi anni, purtroppo, ho potuto constatare la loro assenza su tematiche dove la salute delle persone veniva messa a repentaglio.

Mi ricordo ancora la battaglia condotta in onor di legalità e scienza, iniziata proprio in questo blog, finita con i sequestri fatti dal CFS per il pane e i prodotti da forno contenenti l’additivo colorante E153, noto al grande pubblico come carbone vegetale, tutte le bufale gridate in televisione e l’immane disinformazione divulgata volutamente prima dei sequestri.
All’epoca intervenne solo ed esclusivamente il Corpo Forestale!

Quella sofisticazione alimentare in violazione sia dell’art. 4 DPR 187/01 sia di diversi regolamenti comunitari non sembra ancora finita, anzi è impunemente in atto, ancora oggi, nella farina.
Eppure è di dominio pubblico l’informazione che il carbone vegetale viene usato al giorno d’oggi negli ospedali come chelante per gli avvelenamenti per la sua grande capacità di assorbimento di sostanze attive.

All’epoca evidenziai il concreto pericolo che corre chi mangia pane o pizza al carbone vegetale e, successivamente, assume farmaci salvavita.
Il rischio che i principi attivi dei farmaci finiscano assorbiti dal carbone è reale e, purtroppo, documentabile, con potenziali serie conseguenza per il malcapitato consumatore che in questo modo rischia di non curarsi o di non essere “coperto” dal farmaco salvavita.

Ebbene, ad eccezione del Corpo Forestale, all’epoca ancora autonomo, gli altri Organismi addetti ai controlli ignorarono completamente la problematica, nonostante le continue segnalazioni fatte addirittura attraverso servizi televisivi!

Oggi, nonostante tutto quello che è accaduto, i servizi televisivi, le segnalazioni, gli articoli sui giornali, ecc., la farina al carbone vegetale continua ad essere venduta sugli scaffali dei supermercati, usata dai fornai e dalle pizzerie, nonostante  il divieto previsto dal Reg. UE 1129/2011, parte B, (in vigore!) che include l’E153 (Carbone vegetale) nella categoria degli additivi COLORANTI (*).
In aggiunta, come spiegato nell’articolo, vengono usati claims fuorvianti al fine di ingannare i consumatori e per il solo scopo di  incentivare le vendite.

La domanda che sorge spontanea è: perché gli organismi addetti ai controlli, soprattutto quelli che operano su scala nazionale, non intervengono per sanzionare le aziende?
…Un mistero tutto italiano!

Piero Nuciari

(*) Nota:
E’ da evidenziare, per chi non lo ricordasse, che in riferimento allo specifico settore dell’Arte Bianca, la tab. 2 del Reg. UE 1129/2011 NON consente l’utilizzo di nessun colorante in: PANE E PRODOTTI SIMILI non solo, ma in nessun ingrediente utilizzato per preparare il suddetto prodotto: ACQUA, FARINA, SALE, MALTO, ZUCCHERO, MIELE, BURRO E LATTE.
Lo stesso Reg. UE 1129/2011, Parte E  07 (07.1, 07.2) ribadisce che  – l’ E153 è consentito quantum satis solo ed esclusivamente nei “Prodotto da forno fini (07.2)” e NON in Prodotti da forno – Pane e panini ecc.  (07.1)

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