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Le potenziali sanzioni per i ristoratori che si improvvisano esperti di sushi

Siamo ormai in estate e con la crisi in atto, i gestori dei pubblici esercizi sono costretti ad inventare ogni giorno nuove iniziative per attirare clienti presso le loro attività.

C’è chi organizza esibizioni di arti marziali, chi cerca di attirare la clientela con il karaoke o con la musica anni 60-70, oppure chi si inventa le serate dedicate al sushi.
Girando per gli chalet delle località turistiche, non è difficile vedere cartelli che invitano a partecipare a questo genere di serate dove, a volte, l’improvvisazaione la fa da padrona.
In pericolo grande, infatti, è che il ristoratore non rispetti quanto dettato dalle normative in vigore sull’anisakis e le relative circolari esplicative ministeriali, esponendo l’incauto consumatore a seri pericoli per la propria salute.
Qualche mese fa ho conosciuto un ambulante di un mercato settimanale della mia cittadina, che il 31 Dicembre scorso, durante il cenone di Capodanno presso un noto ristorante della costa, ha mangiato pesce crudo infestato da anisakis.
Conoscendolo come un omaccione robusto, sono rimasto stupito nel vederlo notevolmente dimagrito.
Data la confidenza acquisita in tanti anni di attività, mi sono permesso di chiedergli il motivo di tale dimagrimento, ricevendo come risposta che la causa di tutto era stata l’anisakis che lo aveva fatto dimagrire 11 kg in un mese.
Ho avuto occasione di parlare altre volte su questo blog di questa problematica, ma mai di parlare di sanzioni a carico dei ristoratori che non rispettano le regole per la somministrazione di pesce crudo.

Un passo indietro…
Per chi non segue le problematiche relative all’igiene alimentare, l’anisakis simplex potrebbe essere un perfetto sconosciuto, alla pari di tanti parassiti che vivono negli intestini degli animali; nella realtà è un verme parassita che infesta comunemente un gran numero di piante e di animali, tra i quali numerosi mammiferi marini (foche, delfini, etc) e molti pesci tra cui tonno, salmone, sardine, acciughe, merluzzi, naselli e sgombri.

Questo nematode (ovvero, piccolo verme) è presente nell’85% delle aringhe, nell’80% delle triglie e nel 70% dei merluzzi; esso ha la caratteristica di migrare dalle viscere del pesce alle sue carni se, quando catturato, non viene prontamente eviscerato.

E’ lungo da uno a tre centimetri, di colore bianco o rosato, sottile come un capello, e lo si può riconoscere ad occhio nudo nelle viscere dei pesci perchè tende a presentarsi spesso arrotolato su se stesso.

Il pericolo è costituito dalla possibilità che dopo la pesca a causa di una eviscerazione tardiva o nulla i parassiti possano migrare nelle carni del pesce. In questo caso non è possibile più accorgersi della loro presenza e dunque il consumatore rischia insieme alle carni di consumare anche il parassita.

Quando l’uomo mangia pesce crudo, non completamente cotto o in salamoia, le larve, se presenti, possono impiantarsi sulla parete dell’apparato gastrointestinale, dallo stomaco fino al colon. Il loro istinto di sopravvivenza è terribile perché per difendersi dai succhi gastrici, attaccano le mucose arrivando addirittura a perforarle, causando una parassitosi acuta o cronica.

In genere questa patologia insorge già dopo poche ore dall’ingestione di pesce crudo e si manifesta, secondo i testi di medicina, con intenso dolore addominale, nausea, vomito, febbre e diarrea; sintomi che in molti casi si prestano ad essere scambiati per altre patologie gastrointestinali, quali la rettocolite ulcerosa, il Morbo di Crohn, la neoplasia intestinale o l’appendicite acuta; nei casi più gravi può provocare un’occlusione intestinale e l’unico rimedio, a questo punto, rimane l’intervento chirurgico, con il rischio anche dell’asportazione di un tratto d’intestino invaso dai parassiti.

Nella sua opera di insediamento nel tratto gastrointestinale, questo verme può anche minare altri organi come fegato, milza, pancreas, vasi ematici e miocardio.

In individui colpiti sono state riscontrate anche reazioni allergiche che in alcuni casi hanno portato a addirittura allo shock anafilattico.

l ristoratore improvvisatosi esperto di sushi, potrebbe quindi non sapere che per evitare i problemi sopra descritti, occorre sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare crudo.

Infatti l’anisakis e le sue larve muoiono se sottoposti a 60 gradi di temperatura, oppure dopo 96 ore a -15° C, 24 ore a -20° C, 12 ore a –30° C, 9 ore a -40° C.

E’ bene sapere che il limone e l’aceto, contrariamente a quello che si crede,  non hanno alcun effetto sul parassita.

Per quanto sopra è importante, soprattutto nel periodo estivo, effettuare i controlli presso i ristoranti al fine di prevenire comportamenti errati da parte dei ristoratori.

Riferimenti normativi

1- Circolare 11 marzo 1992, n. 10: Direttive e raccomandazioni in merito alla presenza di larve di Anisakis nel pesce (testo completo alla pagina http://www.normativasanitaria.it/jsp/dettaglio.jsp?attoCompleto=si&id=12997 )

2- Ordinanza del Ministero della Sanità del 12 maggio 1992 : Misure urgenti per la prevenzione delle parassitosi da Anisakis (testo completo alla pagina http://www.normativasanitaria.it/jsp/dettaglio.jsp?attoCompleto=si&id=12800).

Le sanzioni

Un ristoratore ( se dotato di apposito abbattitore)  che somministra preparati a base di pesce crudo deve prevedere questo genere di somministrazione nel manuale HACCP della propria attività, specificando con esattezza le procedure supportate da adeguato monitoraggio e uniformarsi a quanto previsto nell’Ordinanza  del Ministero della Sanità del 1992.
Nell’ipotesi in cui non rispetti gli obblighi sopra descritti, non rientrando nell’istituto della prescrizione previsto dall’articolo 6, comma 7, del D.Lgs. n. 193/2007, soggiace alla sanzione immediata e alla successiva prescrizione.
Considerato il mancato rispetto dell’Ordinanza Ministeriale, ad avviso di chi scrive soggiacerebbe anche all’art. 650 CP per inosservanza di provvedimento emesso in materia di igiene dall’Autorità competente.

Il contravventore rientrerebbe anche nel blocco ufficiale previsto dall’art. 54 del Reg. CE n. 852/2004.
Tale articolo, è bene ricordarlo, riporta l’elenco delle misure da intraprendere che l’autorità competente può decidere come azione risolutiva, nei casi in cui siano riscontrate delle non conformità. Nell’assumere decisioni, infatti, l’autorità competente deve tener conto, secondo il Regolamento, della “natura della non conformità” e dei “dati precedenti” relativi all’operatore in riferimento alla non conformità stessa. Il primo di questi due aspetti riguarda l’analisi del rischio, vale a dire la gravità e l’importanza della non conformità riscontrata in termini di rischio per la sicurezza alimentare; il secondo aspetto riguarda invece la storia dell’operatore, se nella sua attività in passato è già stata riscontrata quella non conformità, e come si è attivato per risolverla.

Le misure elencate sono:

    procedure di igienizzazione o altro;

    restrizione o divieto di immissione sul mercato, di importazione o di esportazione;

    monitoraggio finalizzato se necessario al ritiro o al richiamo e/o alla distruzione degli alimenti;

    autorizzazione all’utilizzo degli alimenti per fini diversi da quelli originari (per esempio, destinazione all’alimentazione zootecnica);

    sospensione o chiusura totale o parziale dell’azienda interessata per un appropriato periodo di tempo;

    sospensione o ritiro del riconoscimento dello stabilimento;

    blocco ufficiale e altri provvedimenti relativi a prodotti alimentari non conformi provenienti da Paesi Terzi;

    qualsiasi altra misura ritenuta opportuna dall’autorità competente.

Come è possibile notare, l’ultimo punto evidenzia la grande autonomia e discrezionalità dell’autorità competente in merito alle misure applicabili, che devono comunque essere sempre motivate. In esso, per esempio, può rientrare l’estensione del “blocco ufficiale”, esplicitamente previsto, come sopra evidenziato, per i prodotti non conformi di provenienza extracomunitaria: tale misura può pertanto essere intrapresa anche nel caso di prodotti alimentari comunitari e quindi anche nazionali.

E’ bene evidenziare che nel caso in cui sia accertata una violazione di carattere amministrativo è possibile procedere al sequestro cautelare dell’alimento, con le procedure previste dalla Legge n. 689/1981, mentre nei casi di reato il Codice di Procedura Penale prevede il sequestro giudiziario (o penale). Tra i provvedimenti è largamente impiegato quello della “prescrizione”,  già introdotto dal DLgs n. 155/1997 (ora abrogato) e poi confermato dall’Art. 7, del DLgs n. 193/2007.

Nel’ipotesi di prelievo di campioni, se venissero riscontrate larve vive di anisakis, il ristoratore soggiacerebbe anche al reato contravvenzionale previsto dall’art. 5, lettera D, della L. 283/62 per somministrazione di sostanze alimentari invase da parassiti.

Piero Nuciari

 Nota del Ministero della Salute sulla responsabilità degli OSA nel caso di presenza di Anisakis

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