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L’importanza del rispetto delle regole igieniche dettate dall’HACCP per la tutela della salute dei consumatori: una sentenza della Corte di Cassazione che farà sicuramente discutere.

Con sentenza n. 7692 del 23/02/07, la Sez. IV della Cassazione Penale ha stabilito che nel caso in cui un pubblico esercizio somministri alla clientela un tramezzino  – farcito con tonno  – che abbia determinato una tossinfezione alimentare, ne risponde direttamente l’esercente che ha preparato il panino, poiché – quand’anche la materia prima fosse stata contaminata all’origine – egli aveva comunque l’obbligo di controllarne l’igienicità.

I colleghi che da anni si occupano di controlli igienico-annonari potranno sicuramente affermare che i tramezzini farciti al tonno, insieme agli alimenti con la maionese, costituiscono una delle principali cause dello sviluppo di problematiche igienico-sanitaria in materia di somministrazione.

Nell’ipotesi in cui  l’alimentarista manipoli tali alimenti con superficialità, innesca di fatto una vera e propria “bomba ad orologeria” che inevitabilmente causerà seri problemi alla propria clientela.
Per la suprema Corte, che ha ribaltato l’assoluzione dell’imputata nei primi due gradi del giudizio,  l’aver usato alimenti in origine preconfezionati, in regola con le modalità di conservazione e la data di scadenza, non esula l’esercente dall’obbligo di verificare comunque le condizioni igieniche degli stessi nel momento della somministrazione.


Secondo i giudici della Cassazione, il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza secondo il quale il rivenditore di prodotti confezionati non risponde per i vizi occulti del prodotto, previsto dall’art. 19 della L. 283/62, non può essere applicato nel caso in specie, visto che la tossinfezione era stata causata da una grossa confezione di tonno, già in precedenza aperta e utilizzata più volte prima dell’“infortunio” occorso ai clienti.
Per i giudici l’esercente aveva comunque l’obbligo e la responsabilità  di verificare l’igienicità del prodotto che stava somministrando, ricorrendo, laddove fosse stato necessario, anche alle analisi di laboratorio, adottando comunque tutte le precauzioni utili ad evitare la contaminazione dell’alimento.

                                                                                                    Piero Nuciari

     La sentenza:    REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello – Presidente
Dott. CAMPANAIO Graziana – Consigliere
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Consigliere
Dott. FOTI Giacomo – Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) G.C. N. IL (OMISSIS);
2) T.P. N. IL (OMISSIS);
3) C.P. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 26/10/2004 CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. BIANCHI LUISA;
Udito il Procuratore Generale in persona del sost. proc. gen. Cons. Dott. DE SANDRO Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per la parte civile, avv. Farcinella Fabrizio.

Svolgimento del processo

C.P. è stata tratta al giudizio del Tribunale di Roma per rispondere dei reati di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d) e artt. 81 cpv – 590 c.p., per avere – nella sua qualità di amministratore e responsabile del laboratorio di panificazione, biscotteria, pasticceria secca, pizza rustica detenuto nell’esercizio tonno in confezione aperta (confezioni originaria di tonno all’olio vegetale Onda Blu da 1700 gr.) destinato al confezionamento di tramezzini venduti al pubblico, che da analisi campioni è risultato contaminato da germi patogeni; inoltre per avere, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione di legge, segnatamente l’articolo di cui sopra, cagionato tossinfezione alimentare (salmonellosi gruppo D e stafilococco aureo) a G. C., G.M. e T.P. i quali contraevano la indicata tossinfezione dopo aver mangiato alcuni tramezzini acquistati nel citato esercizio e preparati con il tonno infetto.
Il Tribunale mandava assolta l’imputata, ex art. 530 cpv c.p., perchè il fatto non costituisce reato, rilevando che non era certo che le pur accertate cattive condizioni igieniche del laboratorio della imputata avessero provocato la contaminazione, anche perchè secondo quanto riferito dall’ispettore della ASL all’atto dell’ispezione, la confezione aperta era correttamente custodita in frigorifero e non risultava scaduta. Non era dunque provato con certezza che la contaminazione si fosse verificata dopo l’apertura della confezione nel panificio gestito dalla C. e l’imputata andava assolta dai reati ascritti perchè il fatto non costituisce reato.
Avverso la sentenza proponeva appello la parte civile, chiedendo la rinnovazione della istruttoria dibattimentale rilevando che già il giudice di primo grado aveva biasimato l’operato degli inquirenti per l’insufficiente estensione e il mancato approfondimento dell’attività investigativa, e che il giudice di primo grado già aveva richiesto ex art. 507 c.p.p., l’acquisizione di nuove prove concernenti il campionamento del lotto di tonno infetto e l’accesso presso il deposito del fornitore del panificio della C., accontentandosi però poi – di fronte alla inerzia degli uffici sanitari e di chi era preposto a svolgere le indagini richieste – del materiale probatorio già in atti.
La Corte di appello confermava il provvedimento del primo giudice, rilevando che – pur essendo emerse, e conseguentemente poste nel debito rilievo nella parte motiva della censurata sentenza, circostanze che rendono in notevole misura plausibile il sospetto che la contaminazione del tonno potesse ricondursi alla fase della utilizzazione del prodotto da parte degli operatori del panificio del quale la C. era responsabile – la prova certa della colpevolezza di costei in ordine ai reati ascrittile non poteva ritenersi acquisita in quanto le indagini svolte nei confronti degli altri soggetti coinvolti nella commercializzazione del prodotto non avevano dato risultati che consentano di escludere, in modo assoluto, che la contaminazione potesse essere avvenuta in una fase antecedente alla consegna al dettagliante; peraltro, la formula assolutoria adottata era giustificata non solo per la considerazione che precede, ma anche in virtù del fatto che, pur essendo stati trovati in non perfette condizioni igieniche gli ambienti di lavoro del panificio, la confezione di tonno incriminata risultava, al momento della ispezione, correttamente custodita in frigorifero, nè il pacifico carattere approssimativo delle indagini poteva automaticamente dar luogo ad una sentenza di condanna in considerazione del fatto che permanevano esigenze di natura risarcitoria.
Hanno proposto ricorso davanti a questa Corte le parti civili, attraverso il difensore di fiducia all’uopo nominato, deducendo:
1) mancanza di motivazione circa la richiesta di rinnovazione del dibattimento;
2) manifesta illogicità della motivazione sulla assoluzione, con vero e proprio travisamento dei fatti, atteso che il giudice ha motivato l’assoluzione sulla base della (ritenuta) corretta conservazione in frigo del tonno, ma trascurando di considerare che le rimanenze del tonno sono state trovate infette e non ben confezionate, ossia sprovviste dell’apposito involucro, ancorchè riposte in frigorifero;
3) inosservanza o errata applicazione della legge penale con riferimento al reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d) dal quale la C. è stata assolta per mancanza dell’elemento soggettivo.

Motivi della decisione
Il ricorso deve essere accolto.
Un primo profilo di censura è ravvisabile nella sentenza impugnata per quanto riguarda la totale mancanza di motivazione circa la richiesta di rinnovazione del dibattimento. Al riguardo è il caso di osservare che se l’eccezionalità dell’istituto, fondata sulla presunzione di completezza dell’istruttoria svolta in primo grado, comporta che il giudice ha, normalmente, l’obbligo di motivare solo nel caso in cui acceda alla rinnovazione (in tal senso è la prevalente giurisprudenza di questa Corte, v. sez. 5^ 16.5.2000, 8891 Callegari, però in senso contrario sez. 6^ 1.2.1996 n. 3986, Mazza ed altri), con la conseguenza dunque che per il rigetto della richiesta stessa non si ritiene necessaria espressa motivazione, tale principio non può valere nel caso in cui sia pacificamente riconosciuta l’incompletezza dell’istruttoria stessa e dunque venga meno l’eccezionalità della richiesta.
Nella specie i giudici di entrambi i gradi di giudizio (e con particolare chiarezza quello di primo grado) hanno espressamente rilevato che le indagini non erano state sufficientemente approfondite. Pertanto, a fronte della domanda avanzata dalla parte con l’appello, il giudice aveva l’obbligo di indicare le ragioni per le quali non la accoglieva, per superfluità, per eventuale impossibilità (in quanto destinata a non portare utili elementi conoscitivi), o per altre ragioni.
La sentenza impugnata risulta dunque incompleta per non avere espresso in alcun modo le ragioni della decisione adottata.
La stessa risulta altresì illogica atteso che, pur dando atto della esistenza nell’esercizio della imputata di segni evidenti di una situazione di carenza delle condizioni igieniche (definite “pessime” in sede di ispezione della ASL, secondo quanto risulta dalla sentenza di primo grado) si è limitata a considerare la circostanza che la confezione di tonno era, al momento dell’effettuato controllo, conservata in frigorifero, ed è pervenuta alla assoluzione dell’imputata per la impossibilità di escludere che la contaminazione del tonno si fosse verificata nella fase della produzione e confezione del tonno stesso, senza tenere conto della natura del reato di cui l’imputata era chiamata a rispondere.
Risulta fondato anche il terzo motivo di ricorso con il quale si sottolinea che la presenza nell’esercizio commerciale dell’imputata del tonno contaminato e non ben conservato era circostanze di per sè idonea a fondare la responsabilità.
L’assoluzione della C. per mancanza di prova sull’elemento soggettivo del reato è stata motivata sulla possibilità che il tonno, sicuramente avariato, da lei detenuto, fosse già in condizioni di contaminazione quando giunto nel locale dell’imputata.
Tale considerazione non tiene conto della struttura del reato in questione e della pacifica interpretazione che dello stesso ha dato la giurisprudenza di questa Corte.
La L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b fa divieto di impiegare nella preparazione di alimenti nonchè di vendere o detenere per la vendita sostanze alimentari in stato di alterazione o comunque nocive per la salute; all’assolutezza della norma è possibile derogare solo ove, ai sensi della legge stessa, art. 19, l’alimento sia contenuto in confezioni originali, sigillate, destinate ad essere aperte solo dal consumatore, ovvero quando, per la deperibilità della merce, non sia possibile effettuare un preventivo controllo.
Nella specie, l’esimente in questione non poteva trovare applicazione atteso che non si è trattato di una confezione di tonno sigillata venduta integra, ma, come emerge dalle due sentenze, di una grossa confezione di tonno, aperta ed utilizzata dall’imputata a più riprese e nella specie, per confezionare i tramezzini.
Secondo l’interpretazione di questa Corte “Chiunque detenga per la vendita un prodotto alimentare non conforme alla normativa vigente, ne risponde a titolo di colpa se non prova la sua buona fede, e cioè se non dimostra di avere eseguito – o fatto eseguire – tutti i controlli o di avere posto in essere tutte le precauzioni possibili per evitare che quel prodotto fosse concretamente avviato al consumo.
Egli, inoltre, va esente da colpa ogni volta che l’adozione delle opportune misure prudenziali non sia praticabile o perchè il prodotto sia contenuto in una confezione sigillata o perchè la facile deperibilità dell’alimento non consenta l’esecuzione dei controlli sulla sua composizione in quanto, nelle more di questi il prodotto diverrebbe inevitabilmente non più commestibile”. (sez. 3^ 20.9.1993 n. 11390 PM in proc. Bellarosa rv. 196756).
La stessa sezione (sez. 3^ 13.5.1999 n. 8035, Nerbi rv. 214654) ha altresì chiarito che “In tema di disciplina degli alimenti, per “confezione originale” deve intendersi ogni recipiente o contenitore chiuso, destinato a garantire l’integrità originaria della sostanza alimentare da qualsiasi manomissione e ad essere aperto esclusivamente dal consumatore di essa.
Ed invero, quando i prodotti alimentari non sono confezionati in involucri o recipienti sigillati, che non ne consentono l’analisi senza il loro deterioramento o la loro distruzione, il commerciante o detentore di essi a scopo di vendita o somministrazione risponde a titolo di colpa della non corrispondenza del prodotto alimentare alle norme di legge perchè, in tal caso, la merce è controllabile anche attraverso appropriate analisi, almeno a campione, dal che discende l’onere di porre in essere quelle cautele che la prudenza, le circostanze del caso e la natura del prodotto consigliano.
Ne consegue che, ferma restando la responsabilità del produttore, il rivenditore o utilizzatore risponde della detenzione per la vendita o della somministrazione di sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o, comunque, nocive, a meno che esse gli siano state consegnate in confezioni originali sigillate, destinate ad essere aperte solo dal consumatore, le quali non rivelino esteriormente alcun vizio e per le quali l’analisi o qualsiasi altro appropriato controllo si risolverebbe, per la facile deperibilità del prodotto, nella non commestibilità di esso ed, in pratica, nell’impossibilità di immetterlo al consumo”.
Risulta dunque evidente il vizio nell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato, atteso che la Corte di appello ha assolto la C. considerando solo la possibilità che il tonno fosse già deteriorato quando è stato aperto dalla medesima e non si è posta invece il problema di esaminare il dovere di controllo della C. prima della utilizzazione e della consegna al consumatore.
Deve dunque essere annullata per quanto riguarda gli effetti civili la sentenza impugnata, con rinvio al giudice civile competente per materia in grado di appello cui viene rimesso anche il regolamento delle spese tra le parti del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

La Corte:
annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per materia in grado di appello cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2007.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2007

Fonte:
CED- Corte di Cassazione

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