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L’irraggiamento degli alimenti e la tutela dei consumatori

L’irradiazione dei alimenti è una tecnologia di conservazione basata sull’uso di raggi gamma, raggi X o fasci di elettroni impiegati direttamente sugli alimenti al fine di prolungarne la conservazione.
Dal punto di vista storico venne  utilizzata per la prima volta negli USA, nel 1943, per sterilizzare  gli hamburger e poi, nel corso degli anni, prese piede anche in Europa.
Negli Stati Uniti, l’industria della carne da anni appoggia fortemente l’uso dell’irraggiamento per uccidere i batteri che sono il risultato di pratiche di allevamento non igieniche e per far fronte all’ulteriore contaminazione nelle catene di macellazione superveloci.

Sempre negli Stati Uniti, è attualmente legale usare l’irraggiamento per quasi tutti gli alimenti, ivi inclusa la carne di manzo, di maiale, di agnello, il pollame, le uova, la frutta e la verdura.

Come funziona l’irraggiamento degli alimenti
Il funzionamento è abbastanza semplice:  gli alimenti da irraggiare sono posti su un nastro trasportatore e fatti passare sotto un fascio di radiazioni sprigionate da cobalto 60 o da un generatore di elettroni, al fine di ritardare sia la maturazione che la germogliazione delle derrate alimentari, aumentandone conseguentemente la conservazione mediante l’eliminazione dei batteri e di alcuni microrganismi spesso causa di svariate tossinfezioni alimentari.

Quella appena descritta è la versione ufficiale che da anni viene pubblicata sui media; la realtà, purtroppo, è un’altra.

L’ irraggiamento permette alle multinazionali dell’agro-alimentare di produrre cibi in paesi in via di sviluppo in cui le normative ambientali sono meno rigide e il costo del lavoro più basso. L’irraggiamento riduce il personale e permette di accelerare i ritmi di produzione all’interno del ciclo produttivo rendendo l’azienda più competitiva. Inoltre  consente di allungare i tempi di conservazione degli alimenti. Una ragione ancora più importante per l’industria, ma di cui si parla poco. Proviamo ad immaginare la carne di manzo che resiste esposta al supermercato per un periodo che arriva fino a 35 giorni, o fragole e funghi che possono essere refrigerati per oltre tre settimane.  E’ facile capire quali e quanti siano i vantaggi per l’industria agro-alimentare.  Che la qualità del prodotto sia più scadente non li preoccupa, soprattutto se non lo si fa sapere al consumatore .

Anche se di primo acchito il sistema potrebbe sembrare utile per la tutela dei consumatori, nella realtà la problematica potrebbe essere molto più complessa di come viene descritta dai media e comportare anche potenziali pericoli per la salute dei cittadini.

Qualche tempo fa la famosa rivista internazionale Nexsus, Ed. italiana n. 35, ha pubblicato un interessante articolo sull’argomento, evidenziando i pericoli che sono stati sottaciuti ai consumatori:
“ [omissis]… – L’irradiazione del cibo è una tecnologia che utilizza isotopi radioattivi (scorie nucleari) per creare una quantità di radiazioni equivalente a qualcosa oscillante fra i 10 milioni ed i 70 milioni di raggi-X al torace.
Quando l’alimento viene colpito, le radiazioni iniziano una complessa sequenza di reazioni che fanno letteralmente a pezzi la struttura molecolare dell’alimento.
Le vitamine e gli enzimi vengono distrutti ed il cibo fresco diventa cibo morto.
Il cibo irradiato è stato descritto come “il cibo che durerà per sempre”, poiché il processo viene utilizzato per prolungare la data di scadenza nei supermarket o per uccidere batteri ed insetti.  Nel processo di irradiazione vengono usate due fra le più letali e tossiche sostanze note all’umanità.  Esse sono il cobalto-60 (quella maggiormente utilizzata) ed il cesio-137…[omissis] …Quando le radiazioni colpiscono il cibo o altri materiali, esse trasferiscono la propria energia e tale trasferimento di energia può provocare riscaldamento, come accade con il forno a microonde.  Ad un determinato livello, le radiazioni hanno sufficiente energia per spingere gli elettroni fuori dagli atomi del materiale bombardato.  La struttura molecolare del cibo quando è irradiata viene spezzata e si formano radicali liberi, i quali possono reagire con il cibo sino a creare nuove sostanze chimiche denominate prodotti radiolitici.  Alcune sono notoriamente cancerogene, come il benzene nella carne irradiata, altre sono uniche e specifiche del processo di irradiazione. Sebbene le radiazioni possano uccidere i batteri, esse tuttavia non elimineranno le tossine create originariamente dai batteri stessi.  Nel 1973 venne scoperta per la prima volta un’accresciuta produzione di aflatossine in seguito ad irradiazione U, fatto poi confermato nel 1976 e nel 1978; le aflatossine sono potenti agenti che provocano il cancro al fegato. Le vitamine A, C, D, E e K ed alcune vitamine del gruppo B, in particolare Bl, B2, B3, B6 e B12, vengono danneggiate dall’irradiazione; la misura della perdita di vitamine dipende dal cibo e dalla dose somministrata.  I succhi di frutta ne risentono maggiormente della frutta fresca, e quest’ultima più degli ortaggi, dei cereali e dei prodotti carnei…[omissis]”.

Ma non è solo l’autorevole rivista scientifica Nexsus a porre in dubbio la salubrità dell’irradiazione dei cibi.
L’Istituto Superiore di Sanità, fonte altrettanto autorevole, evidenzia le stesse problematiche:
“[… omissis] … Per quanto riguarda i caratteri organolettici, si manifestano variazioni di colore, odore, sapore e consistenza dovute essenzialmente alle trasformazioni indotte dalle radiazioni sui costituenti dell’alimento. I raggi gamma provocano reazioni di ossidazione e riduzione, polimerizzazioni con liberazione acido solfidrico e formazione di vari solfuri organici, probabilmente derivati dal glutatione, responsabili di odori sgradevoli. Le variazioni di colore avvengono generalmente in seguito all’ imbrunimento non enzimatico che si manifesta in modo più evidente rispetto al prodotto non trattato. Comunque l’entità delle variazioni è legata soprattutto all’applicazione corretta del processo di irradiazione. Per quanto riguarda la qualità nutrizionale l’irraggiamento può influenzare sia i macronutrienti sia i micronutrienti. Le alterazioni delle proteine consistono soprattutto in ossidazioni dei gruppi aminici e sulfidrilici degli aminoacidi che le costituiscono e avvengono anche con basse dosi di trattamento, con quantità superiori si possono verificare rotture delle catene laterali, denaturazione e precipitazione. In seguito all’irraggiamento anche gli aminoacidi liberi possono subire deaminazioni con liberazione di ammoniaca e decarbossilazioni con formazione di ammine, tutte queste reazioni sono caratterizzate da odori intensi e sgradevoli. È possibile anche che si formino D-aminoacidi che, come noto, non sono disponibili per l’organismo umano. Anche i glucidi possono alterarsi in seguito a processi ossidativi e idrolitici attivati dalle radiazioni ionizzanti, i polisaccaridi si trasformano dapprima in monosi e successivamente in acidi aldonici e uronici. Le pectine invece vengono idrolizzate a prodotti solubili in acqua determinando il rammollimento del prodotto. Le alterazioni causate dall’irraggiamento a carico dei lipidi consistono nella rottura della catena idrocarburica degli acidi grassi con formazione di catene più corte o, in seguito a ricombinazione dei frammenti, a catene più lunghe e ramificate. Gli acidi grassi saturi vanno incontro alla decarbossilazione con formazione di idrocarburi. Per gli acidi grassi insaturi prevalgono le reazioni di polimerizzazione e di irrancidimento ossidativo, con formazione di aldeidei e chetoni, responsabili di odori e sapori sgradevoli. Gli effetti a carico degli acidi grassi insaturi determinati dalle radiazioni sono senz’altro superiori a quelli che avvengono nei normali processi ossidativi. È abbastanza logico che le radiazioni ionizzanti favoriscano l’ossidazione degli acidi grassi, poiché questa reazione è avviata e portata avanti da radicali liberi, presenti in numero elevato nei prodotti irradiati. Danni ossidativi avvengono quindi anche a carico degli acidi grassi polinsaturi (PUFA) che sono da considerarsi essenziali per l’organismo umano dato il loro ruolo nelle membrane cellulari e perché precursori delle prostaglandine e altri eicosanoidi. Scorrendo la lista degli alimenti che possono essere irradiati a norma di legge, si può affermare che un danno nutrizionale può avvenire a carico di acidi grassi insaturi soprattutto per il pesce, dal momento che questa categoria di alimenti ne è particolarmente ricca …[omissis]
(estratto del rapporto sui cibi irradiati dell’Istituto Superiore della Sanità)

Considerata l’autorevolezza della fonti sopra menzionate, è chiaro che questa tecnologia, prima di essere accettata in maniera incondizionata, avrebbe forse dovuto essere meglio approfondita da tutti, ad iniziare dai politici che l’hanno di fatto regolarizzata mediante le normative nazionali ed europee attualmente in vigore.
Come il lettore sicuramente saprà, alla base di qualsiasi iniziativa legislativa, i veri valori che purtroppo contano, anche se vengono poi mimetizzati nei meandri delle norme, sono spesso quelli riguardanti gli interessi economici di società, organizzazioni o corporazione, che premono presso un determinato politico o un partito al fine di raggiungere i propri obiettivi o di attribuirsi determinata vantaggi, spesso a discapito dell’ignaro cittadino.
Se si analizzano le motivazioni con le quali questa tecnologia è venuta alla ribalta a livello mondiale, si potrà constatare che ad essere tutelati non sono i cittadini, ma gli imponenti interessi economici  delle multinazionali che operano sul mercato internazionale.
Esaminando la problematica a livello globale, emerge infatti che il fenomeno dell’irraggiamento dei cibi si sta espandendo velocemente a livello mondiale.
In un articolo apparso sul sito giornalistico
www.dentrolanotizia.it,  vengono addirittura fornite le prove dell’espansione di questo preoccupante fenomeno:

 “[omissis…] Molti alimenti di vario genere stanno per essere irradiati e messi in commercio nei paesi sviluppati ed in via di sviluppo; l’ICGFI è stato particolarmente attivo nel promuovere l’irradiazione presso questi ultimi. Il Bangladesh sta irradiando il pesce essiccato, quello surgelato ed alcuni cereali. La Cina dispone di più di 60 impianti di irradiazione (*) che trattano un’ampia varietà di prodotti alimentari, fra cui aglio, riso, spezie e condimenti, alimenti confezionati, salsa Sichuan, frutta e carne. Le quantità di prodotti irradiati si contano in migliaia di tonnellate. L’Indonesia sta irradiando spezie essiccate, radici commestibili e tuberi, cereali, pesce essiccato e cibi surgelati sia a fini commerciali che per test di marketing. Nel 1996 la quantità complessiva di prodotti irradiati superava le 6.000 tonnellate. La Repubblica di Corea ha irradiato commercialmente spezie, condimenti vegetali essiccati e prodotti a base di ginseng; un impianto di irradiazione in Tailandia irradia a fini commerciali nahm (salsiccia suina fermentata), spezie, condimenti, erbe ed enzimi crudi; il Vietnam irradia quantità commerciali di tabacco per la disinfestazione dagli insetti, oltre ad alcuni cibi quali le cipolle ed il pesce essiccato; l’India irradia spezie a fini commerciali. Ulteriori impianti di irradiazione sono progettati oppure già in costruzione in Cina, India, Repubblica di Corea, Malesia, Tailandia e Vietnam.
Negli Stati Uniti, il 23 febbraio 2000 la FDA ha concesso l’approvazione all’irradiazione delle carni rosse; la FDA ha anche approvato l’irradiazione di una varietà di altri alimenti, fra cui frutta fresca, verdura e spezie. Un opuscolo della FDA < Irradiazione alimentare > una misura di sicurezza?, pubblicato nel gennaio del 2000, sostiene che l’agenzia ha determinato che il procedimento è sicuro ed efficace nella riduzione o eliminazione di batteri dannosi ed afferma che l’irradiazione riduce anche gli insetti, i parassiti ed i batteri che provocano il deterioramento e, in determinati vegetali e tipi di frutta, inibisce la germinazione e ritarda la maturazione. Le fragole irradiate, ad esempio, rimangono intatte per tre settimane, diversamente dai 3-5 giorni di quelle non irradiate.
In Australia, la società Steritech Pty Ltd ha richiesto all’Ente per l’Alimentazione di Australia e Nuova Zelanda (ANZFA) l’autorizzazione per irradiare erbe (fresche ed essiccate, fra cui aglio, cipolle e zenzero), tè (comprese le tisane), noci e spezie [omissis].”
                                    
 
(*) In Europa sono stati creati 23 impianti, di cui uno in Italia

A livello Europeo, la Commissione “Codex Alimentarius” e le altre autorità deputate al controllo in ambito alimentare hanno disciplinato e approvato l’irradiazione di più di 60 prodotti alimentari.
Sull’argomento sono state emanate due direttive: la direttiva 1999/2/CE e la direttiva 1999/3/CE relative all’irradiamento degli alimenti e dei loro ingredienti, entrate in vigore il 20 settembre 2000.

La direttiva 1999/2/CE, che sancisce le norme applicate ad alimenti e ingredienti alimentari trattati con radiazioni ionizzanti, disciplina anche gli aspetti legati alla commercializzazione, all’etichettatura (che deve indicare chiaramente se l’alimento è stato trattato), l’importazione e i diversi controlli obbligatori su questi alimenti.

In Italia la disciplina è regolamentata dal DM 30/08/1973 (che permette l’uso delle radiazioni gamma per bloccare la germinazione) e dal Decreto Legislativo 30 gennaio 2001, n. 94  “Attuazione delle direttive 1999/2/CE e 1993/3/CE concernenti gli alimenti e i loro ingredienti trattati con radiazioni ionizzanti”.
La prima normativa prevede, all’art. 6,  l’obbligo di inserire nella confezione – che dovrà essere sigillata mediante piombatura o altro dispositivo non manomissibile – la dicitura “patate (o cipolle o agli) irradiate a scopo antigermogliativo”; mentre il secondo provvedimento, riguardante erbe aromatiche essiccate, spezie e condimenti vegetali, prevede, all’art. 13, l’obbligo per i commercianti di riportare la dicitura “irradiato” o “trattato con radiazioni ionizzanti” nella denominazione di vendita e nell’elenco degli ingredienti, anche nel caso di vendita ai sensi degli articoli 16 e 17 del D.Lgs. 109/92.

La problematica che sta emergendo

Dai controlli effettuati negli ultimi anni dagli organismi preposti in ambito europeo e nazionale, è emerso che esiste una omissione riguardo all’obbligo di indicare in etichetta l’irraggiamento subito dai prodotti alimentari posti in vendita  per  circa il 4-5% del quantitativo totale.
In questi casi il consumatore acquista di fatto cibo “morto”, ovvero privo (o quasi) di vitamine e di altre sostanze nutritive utili per il proprio benessere, con inevitabile ripercussione sul proprio stato di salute nel momento in cui dovesse alimentarsi per un determinato periodo di tempo con alimenti del genere.

Le uniche armi di difesa a sua disposizione  rimangono l’etichetta, lo spirito di osservazione e gli operatori addetti ai controlli commerciali.

Riguardo all’etichetta è da dire che il consumatore dovrebbe quantomeno leggerla con attenzione, per decidere liberamente se acquistare o meno il prodotto in questione. In effetti la direttiva 1993/3/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, all’articolo 2 stabilisce che “qualsiasi alimento irradiato in quanto tale o che contenga ingredienti alimentari irradiati deve formare oggetto di etichettatura”. Tale Direttiva è stata poi recepita dallo Stato italiano con il Decreto Legislativo 30 gennaio 2001, n. 94, che all’art. 13 recita:

Fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, i prodotti alimentari trattati con radiazioni ionizzanti devono riportare la dicitura “irradiato” o “trattato con radiazioni ionizzanti” nella denominazione di vendita e nell’elenco degli ingredienti, anche nel caso di vendita ai sensi degli articoli 16 e 17 dello stesso decreto legislativo.2. L‘indicazione del trattamento deve in ogni caso figurare nei documenti che accompagnano o che si riferiscono ai prodotti alimentari irradiati.3. La deroga prevista dall’articolo 5, comma 12, lettera a), del citato decreto legislativo n. 109 del 1992, non si applica ai prodotti alimentari trattati con radiazioni ionizzanti.4. I prodotti alimentari di cui all’articolo 17 del citato decreto legislativo n. 109 del 1992, qualora irradiati, devono riportare, oltre alle indicazioni di cui ai commi 1 e 2, anche l’indicazione della denominazione e dell’indirizzo dell’impianto che ha effettuato l’irradiazione oppure il suo numero di riferimento.”

Circa lo “spirito di osservazione” che dovrebbe sempre accompagnare il consumatore durante i suoi acquisti, è da evidenziare che potrebbe essere l’arma più importante.

Infatti, secondo Italo Ghinelli, autore del libro “Le carni conservate” Ed. Piccin Nuova Libreria SPA, “gli odori che insorgono negli alimenti irradiati e in particolare nella carne vengono descritti, secondo la dose assorbita dal prodotto, con varia terminologia; odore “di bruciato”, “amaro”, “metallico”, “di sego”, “di rancido”, “caprigno”, “di cane bagnato”, “di penne di pollo bagnate”, etc.
[omissis]
Riguardo al colore, la carne irradiata “acquista una tinta anormale che va dal rosso porpora al rosso scuro e che, dopo cottura, scompare riprendendo il colore normale della carne cotta, con una lieve tonalità grigiastra
”.

Nell’ipotesi in cui il consumatore dovesse imbattersi in alimenti con queste caratteristiche, potrebbe presentare un esposto ai NAS, agli ispettori di Igiene delle ASL o alla Polizia Municipale che, comunque, rapporterebbe per competenza alle prime due figure professionali.

Nel campo degli addetti ai controlli annonari, il discorso, invece, è leggermente diverso.
Rimane sì la difficoltà di individuare gli alimenti irradiati, visto che l’unica certezza viene data dall’esame di laboratorio; tuttavia anche in questo settore è importante affidarsi al proprio fiuto e all’esperienza.
Osservando infatti un contenitore ad esempio di cipolle, un fattore che potrebbe fare accendere dentro di noi la cosiddetta “lampadina”, potrebbe essere il constatare che tutte quelle esposte in una determinata  cassa, posta sul banco di vendita, presentano un bellissimo colore ma sono completamente prive di germogli o piccole radici (circostanza veramente rara se non impossibile).
In questi casi sarebbe buona regola chiedere al commerciante di poter accedere al magazzino per verificare se esistono altre partite, magari ancora nelle loro confezioni originali al fine di controllare cosa è riportato in etichetta.
Se l’etichetta dovesse riportare riferimenti alla procedura di irraggiamento subita dal prodotto,  per accertare se anche i prodotti esposti sul  banco di vendita presentino le stesse caratteristiche, prima di procedere alla contestazione della violazione al D.Lgs 109/92, sarà comunque necessario richiedere l’intervento degli ispettori di igiene della ASL per il prelievo dei campioni e per le opportune analisi.

Quella appena descritta è una problematica molto seria che viene spesso sottovalutata da tutti.
L’antico detto “noi siamo quello che mangiamo” è al giorno d’oggi una realtà con la quale dobbiamo fare i conti quotidianamente in termini di salute. Le malattie – a volte terribili – che sono emerse negli ultimi anni testimoniano del continuo avvelenamento a cui siamo sottoposti a nostra insaputa e spesso con la connivenza delle Autorità addette ai controlli in campo nazionale (vedasi la problematica dell’OGM, dell’avvelenamento da mercurio, dei formaggi riciclati, dello scandalo dei contenitori tetrapak, etc).
Alla luce di quanto sopra è fuori discussione che è aumentata enormemente  la responsabilità  della Polizia Municipale e delle altre figure professionali addette ai controlli,  nel garantire un continuo servizio di ispezione e repressione a tutela dei cittadini, servizio che anziché essere trascurato (come avviene ora) dovrebbe invece essere incentivato dalle amministrazioni locali, visto che la “sicurezza dei cittadini” – frase tanto  in voga negli ultimi tempi – non è solo contrastare la prostituzione, ma anche (e soprattutto) tutelare la salute dei consumatori.

                                                                                                 Piero Nuciari
 

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