Può un esercente rifiutare di somministrare acqua di rubinetto in una pizzeria?

Negli ultimi tempi è capitato più volte di leggere sui quotidiani le lettere di protesta di cittadini ai quali i gestori degli esercizi di somministrazione di località turistiche avevano rifiutato di servire acqua di rubinetto.
Anche se la richiesta dei consumatori era tesa, probabilmente, ad ottenere un risparmio sul costo finale del pasto, considerate le cifre stratosferiche che spesso vengono richieste da alcuni locali per una bottiglia di acqua minerale, è da dire che il gestore del pubblico esercizio non può comunque rifiutarsi di somministrare questo tipo di acqua, visto che è nella sua disponibilità.
Il locale di somministrazione, infatti, non potrebbe aprire se non fosse in possesso dell’Autorizzazione Igienico Sanitaria, prevista dal Reg. Comunitario 852/2004, la quale presuppone, come elemento essenziale dal punto di vista igienico, la disponibilità di acqua potabile.
Allo stato attuale non esiste alcuna norma che obblighi la vendita di acqua minerale in bottiglia. A tal proposito è da evidenziare che la confusione era nata nel 2005 a seguito del decreto del ministro Marzano che aveva introdotto le monodosi. La problematica fu chiarita subito con una circolare dello stesso ministro in cui si diceva che nulla cambiava riguardo alla somministrazione di acqua sfusa.
Per quanto sopra è da precisare che nessun esercizio può rifiutare l’acqua del rubinetto; si può eventualmente discutere se tale servizio deve essere pagato oppure no (potrebbe comunque essere incluso nel “coperto”, com’è sempre stato).

L’art. 187 TULPS, prevede che: “Gli esercenti non possono, senza legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del loro servizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”.
La disposizione è di carattere generico e non specifica quali prestazioni debbano essere espletate o meno dall’esercente; sicuramente la norma include tutto quello che è nella materiale disponibilità del Pubblico Esercizio, quindi anche l’acqua del rubinetto.

E’ comunque fuori discussione che la problematica in oggetto è solo di natura economica; da una parte il consumatore vorrebbe evitare il “salasso” dell’acqua minerale e dall’altra il gestore non vuole rinunciare ai guadagni che comunque la vendita di acqua minerale comporta.

Un motivo addotto dagli esercenti a giustificazione del rifiuto di somministrare acqua di rubinetto è che l’acqua del pubblico acquedotto non è sicura ed è di qualità scadente.
Nulla è più falso!
In teoria l’acqua di rubinetto è molto più sicura di quella minerale imbottigliata.
Prima di venire immessa negli acquedotti e raggiungere i nostri rubinetti, viene infatti potabilizzata con diverse tecniche che garantiscono un livello basso di microorganismi e viene controllata regolarmente dalle autorita’ sanitarie. La qualita’ dell’acqua di rubinetto e’ infatti soggetta a controlli quotidiani o settimanali: un monitoraggio a garanzia della nostra salute. Con una semplice telefonata all’ASL o all’azienda municipalizzata, il consumatore può ottenere i suoi parametri di:
      durezza;
      residuo fisso;       numero di pozzi che alimentano la rete idrica o comunque la provenienza dell’acqua;       la frequenza e il tipo di controlli eseguiti, sui singoli pozzi e su campioni della rete;       eventuale uso di cloro, ozono, UV o altro;       ossidabilita’ per mg;      conducibilita’ (in mS/cm2);      pH;      eventuali livelli di nitrati ecc. se riscontrati.

Nota
Il decreto legislativo n.31 del 2 febbraio 2001, che attualmente regola la normativa in materia, sancisce che le acque destinate al consumo umano “non devono contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana“.

L’acqua potabile, in base alla suddetta normativa,  deve rispondere ai seguenti requisiti:

  • essere incolore, e inodore
  • avere una temperatura di 12 °C e un limite comunque non superiore a 25°C
  • avere un valore del pH compreso tra 6,5 e 8,0.
    L’acqua pura ha un valore del pH pari a 7; con un pH inferiore a 7 l’acqua risulta acida, con un pH superiore a 7 invece risulta basica
  • avere un livello di durezza, data dal contenuto in sali alcalino terrosi, principalmente calcio e magnesio, di 15-50 gradi francesi.
  • avere un contenuto di nitrati pari a 50 mg per litro.
    L’uso di concimi (minerali o organici, quali liquami o stallatico) fornisce al terreno un apporto di nitrati che costituiscono una sostanza nutritiva importante per le piante.
    Se la quantità di nitrati è eccessiva, essi non possono venire completamente assorbiti dalle piante e finiscono pertanto per penetrare nella falda freatica.
  • essere esente da presenze di sostanze microbiche.
    Il valore limite ammissibile del numero di colonie di batteri (aerobi) è di 100 (se l’acqua ha una temperatura di 22°C) oppure di 20 (se l’acqua ha una temperatura di 36°C) per ml di acqua.
    La presenza dell’Escherichiacoli nell’acqua potabile non è invece ammissibile. L’inquinamento batterico dell’acqua è quasi sempre riconducibile al contatto con feci animali o umane (per esempio, a causa di perdite nelle fognature o di liquami da allevamento); le conseguenze per la salute umana sono costituite da disturbi del tratto gastro-intestinale o da altre patologie più gravi.

L’acqua del rubinetto è sottoposta a un duplice controllo.
Interno, effettuato dal gestore dell’acquedotto (si va da controlli quotidiani in alcuni acquedotti fino a un controllo mensile in altri).
Esterno, eseguito dalla Asl competente per territorio con una cadenza che varia a seconda della qualità dell’acqua, dei rischi di contaminazione, della popolazione servita.
 

 

A livello di controlli della qualità delle acque, è da precisare che le acque imbottigliate sono garantite e controllate alla fonte dal produttore, con controlli chimici bimestrali; dalle aziende di imbottigliamento con analisi quotidiane; dalle autorità sanitarie con controlli chimici e possibilmente microbiologici per lo più stagionali. Il controllo completo della qualità alla sorgente si verifica a cadenza annuale.
Diverso è il discorso per l’acqua di rubinetto, che di norma viene controllata, come dicevamo, con cadenza giornaliera o settimanale, da parte della ASL o di laboratori specializzati, che poi inviano i risultati al Comune.

Nota
Il problema fondamentale delle acque imbottigliate è che non possiamo conoscerne il contenuto di sostanze tossiche, proprio perché la legge le tollera in dosi superiori rispetto all’acqua di rubinetto, né obbliga i produttori a dichiararle con chiarezza e completezza in etichetta. Altro punto da non sottovalutare è il contenitore in plastica, che in certe condizioni (ad esempio, con caldo eccessivo) rilascia componenti nocivi che si disperdono nell’acqua.

Per completezza di informazione è comunque da dire che il vero problema dell’acqua di rubinetto è costituito dagli ultimi metri di tubatura, spesso fatiscente, che  sono di pertinenza dei proprietari o degli amministratori di casa.
In questi ultimi metri di tubatura, infatti, spesso si sviluppano inquinanti (dovuti per esempio al ristagno notturno dell’acqua) e che si trovano alte concentrazioni di elementi tossici (molti tubi sono infatti ancora in piombo).

In conclusione, anche tenendo presenti le deroghe e le condizioni non sempre ottimali degli acquedotti e delle tubature, il quadro sembra rimanere abbastanza favorevole alle acque potabili piuttosto che a quelle minerali.
Per quanto sopra, tornando all’argomento dell’articolo, il gestore di un pubblico esercizio non può rifiutarsi di somministrare, se richiesto, acqua di rubinetto se il consumatore è disposto a pagarne il prezzo.

                                                                                                   Piero Nuciari

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