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Quando gli alimenti etnici attentano alla salute

Per molti anni sono stato un assiduo frequentatore dei ristoranti cinesi, appassionato degli involtini primavera, dei ravioloni al vapore, del risotto alla cantonese e di tante altre specialità culinarie cinesi.

Il mio amore per questa cucina è finito, oserei dire tragicamente, circa sei anni fa,  quando in un pomeriggio d’estate, assieme ad una collega e a un Tecnico della prevenzione della ASL, ho fermato un furgone cinese che trasportava alimenti, che riforniva famiglie private e i ristoranti della zona. Posso dire di non aver mai visto, in tutta la mia carriera, tante violazioni in materia annonaria e igienica come in questo caso: dopo cinque minuti che rovistavamo tra gli scaffali, le nostre mani erano divenute letteralmente nere per la polvere e la sporcizia che regnavano all’interno del mezzo.
Vi erano una gran quantità di confezioni alimentari con le date di scadenza vistosamente contraffatte, le indicazioni sulle confezioni erano riportate solo con caratteri cinesi, la frutta e la verdura erano letteralmente ammucchiate sul fondo del mezzo, piene di polvere.
Su un lato del furgone, dietro al sedile di guida, erano trasportati surgelati all’interno di scatole di polistirolo, a temperatura ambiente; i gamberetti addirittura galleggiavano nel ghiaccio sfuso.
Per la parte riguardante il mio ufficio elevammo verbali per oltre 6 mila euro che per altro i contravventori, a distanza di 6 anni, non hanno ancora pagato, dimostrando una grande capacità nell’eludere la legge italiana e, soprattutto, Equitalia.

Lo stato degli alimenti trasportati, che sicuramente avevo mangiato nei ristoranti cinesi, mi convinse a non frequentare più questo genere di locali, per evitare di avere brutte sorprese a livello di salute.
Successivamente, conoscendo tanti operatori del settore alimentare, ho avuto anche la sgradita sorpresa di sapere che nei corsi per l’ottenimento dei requisiti professionali per il settore alimentare, previsti ora dall’articolo 71 del D.Lgs. 59/2010, partecipano extracomunitari che non conoscono una sola parola di italiano, ai quali (ed è brutto dirlo!), l’attestato di partecipazione viene letteralmente regalato.
La conoscenza delle norme igieniche, per queste persone, diventa quindi un optional, ed è per questo motivo che praticamente ogni giorno,  sui giornali, appaiono notizie di sequestri, da parte dei NAS, di ristoranti o di esercizi alimentari gestiti da extracomunitari.

Ma i cinesi o gli asiatici in genere non sono gli unici a gestire le attività alimentari alla “meno peggio”, visto che ci sono anche gli arabi che non sono da meno.

Nel territorio del mio comune, negli anni scorsi, ho avuto una macelleria gestita da marocchini che dopo diversi verbali elevati dal sottoscritto e dal Servizio veterinario, ha preferito trasferirsi in una cittadina vicina.

Attualmente il pericolo per la nostra salute viene dal Kebab, un alimento che ormai tutti conoscono, soprattutto i giovani, che sta lentamente prendendo il posto delle paninoteche tradizionali.
In genere questi negozietti vengono aperti in prossimità degli edifici scolastici, dove trovano nei giovani che debbono effettuare il rientro pomeridiano, dei validi clienti.

Al contrario di quello che vogliono farci credere, il kebab non è un piatto salutare di carne, ma carne con quantità spropositate di grasso animale e spezie.
Il buon sapore che inganna il palato è indotto dal grasso utilizzato nel processo di lavorazione della carne, o meglio, dei vari tipi di carni utilizzate.

Il kebab è composto da intestino, polmoni, cuore, lingua, occhi, scarti di macelleria, ossa, sale e grasso animale, in quantità capaci di attentare letteralmente alla nostra salute.
Recentemente una equipe di scenziati e nutrizionisti inglese ha effettuato un’analisi relativa alla composizione di questo alimenti, scoprendo che ad esempio il sale utilizzato supera dal 98% al 277% la quantità giornaliera accettabile.
Un vero attentato alla salute di chi soffre di ipertensione!

Ma le scoperte non finiscono qui, visto che è stato accertato che nel 9% dei casi non si è potuta individuare con chiarezza la natura della carne utilizzata nel processo di triturazione; di certo è che  più del 50% dei Doner Kebab (Kebab che gira) contiene carne diversa da pollo o vitello e che la maggioranza dei kebab sono un miscuglio di carni diverse, tra cui quella di pecora e di maiale (alla faccia della religione musulmana!).
Inoltre un singolo kebab è risultato essere una bomba calorica visto che contiene tra le 1.000 e le 1.990 calorie.
Altro dato significante (in negativo!) è che ogni kebab contiene tra il 148% ed il 346% della quantità di grassi saturi assimilabili giornalmente da un essere umano.

A questo link: http://www.slideshare.net/BUENOBUONOGOOD/kebab-composition-7310783 è possibile accedere al testo integrale della ricerca inglese.

Il sushi

Tra gli alimenti etnici potenzialmente dannosi per la salute,  non poteva mancare il sushi.
Girando in estate per gli chalet costieri, non è difficile imbattersi in ristoratori che propongono questo alimento.
In Giappone la parola sushi si riferisce ad una vasta gamma di cibi preparati con riso, mentre, al di fuori, assume il significato di pesce crudo.
Tutti conoscono il significato di questa parola, ma decisamente pochi sono coloro che hanno sentito pronunciare almento una volta il termine anisakidosi, una parola apparentemente esotica, utilizzata per descrivere un verme, veramente pericoloso, che si annida nelle interiora di aringhe, triglie e merluzzi.
In Giappone, dove è alto il consumo di pesce crudo, l’anisakis è uno spauracchio che provoca ogni anno almeno 3 mila operazioni d’urgenza e decine di morti.
In Italia, grazie all’uso prevalente della cottura del pescato (l’anisakis non resiste a temperature superiori a 60 gradi), il problema non esiste ad eccezione dei ristoranti dove viene servito pesce crudo che non ha subito i trattamenti previsti dalla legge.

Dal 1992 nel nostro Paese è in vigore un’ordinanza ministeriale che vieta ai ristoranti di servire pesce crudo, marinato o affumicato a freddo, a meno che non sia stato precedentemente congelato a -20°C per almeno 24 ore.
Occorre fare attenzione che la norma protegge i consumatori dal rischio di parassiti, ma non da quello microbiologico, visto che è sempre in agguato il pericolo di tossinfezioni da vibrioni e batteri vari.
Per coloro che si recano all’estero in vacanza, è bene evidenziare che solo in Spagna vige per il sushi una legge simile alla nostra che obbliga il congelamento “preventivo”, mentre  negli altri paesi tutto viene lasciato alla buona volontà dei ristoratori.

Cosa prevede la normativa italiana

Mentre in Giappone, gli esperti di sushi debbono obligatoriamente avere uno specifico patentino, in Italia (ma anche in Europa), tutto è basato sull’HACCP.
I manuali di corretta prassi igienica, lodevole iniziativa europea, hanno però il difetto di avere per i ristoranti un contenuto di carattere generale che non scende, a volte, nelle preparazioni particolari.

Un ristorante che ad esempio decidesse di passare, dopo qualche anno di cucina tradizionale italiana, al sushi, difficilmente avrà previsto nel suo manuale HACCP questa evenienza, i controlli da effettuare, l’individuazione dei punti critici di controllo, le azioni correttive, etc.

Il ristoratore potrebbe quindi non sapere che per evitare i problemi sopra descritti, occorre sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare crudo. Infatti l’anisakis e le sue larve muoiono se sottoposti a 60 gradi di temperatura, oppure dopo 96 ore a -15° C, 24 ore a -20° C, 12 ore a –30° C, 9 ore a -40° C.
E’ bene sapere che il limone e l’aceto non hanno alcun effetto sul parassita.

Come accennato poc’anzi, dal 1992 in Italia è in vigore un ordinanza che vieta a ristoranti e punti di ristorazione collettiva di servire pesce crudo, marinato o affumicato a freddo a meno che non sia stato precedentemente congelato (-20°C) per almeno 24 ore (Ordinanza Ministeriale del 12/05/1992 avente come oggetto: Misure urgenti per la prevenzione delle parassitosi da Anisakis).

Il regolamento CE n. 853/04 ha esteso l’obbligo di tale pratica a tutti i prodotti ittici destinati ad essere consumati crudi o sottoposti a trattamenti di marinatura o salatura non in grado di inattivare le larve.
Recentemente il Ministero della Salute ha emanato la Circolare n. 4379-P del 17/02/2011 avente come oggetto: Chiarimenti concernenti alcuni aspetti applicativi del Regolamento CE n. 853/2004 in materia di vendita e somministrazione di preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi.

Nella circolare viene evidenziato l’obligo previsto dal regolamento europeo di congelare (trattamento di bonifica preventiva) ad una temperatura non superiore a -20 °C e per 24 ore, il pesce (anche di acqua dolce) destinato ad  essere somministrato crudo.

Degno di nota è la precisazione che viene fatta nella circolare relativamente al contenuto del punto 3, dell’allegato III, sezione VIII, capitolo 3, lettera D del regolamento CE 853/2004, il quale prescrive che i prodotti della pesca che hanno subito il trattamento di bonifica preventiva mediante congelamento a – 20°C, debbano sempre essere accompagnati, alla loro immissione sul mercato, da un’attestazione del produttore che indichi il trattamento ai quali sono stati sottoposti, salvo qualora siano forniti al consumatore finale.

Pertanto, nel caso in cui un esercizio di somministrazione acquisti prodotti della pesca già sottoposti al trattamento considerato, da destinarsi ad essere consumati crudi o in preparazioni gastronomiche ove rimangono praticamente crudi, dovrà richiedere al fornitore la prevista certificazione, da tenere agli atti e da esibire a richiesta degli organi di controllo.

Nell’ipotesi in cui il trattamento di bonifica preventiva sia praticato direttamente all’interno dell’esercizio di somministrazione, gli obblighi previsti dalle legge sono i seguenti:

1) comunicazione preventiva all’Autorità competente nell’ambito della notifica ai fini della registrazione o del suo aggiornamento;

2)  dotarsi di idonea e proporzionata apparecchiatura per l’abbatimento della temperatura ad almeno – 20 ° C; tale attrezzatura, utilizzata specificamente per effettuare il trattamento di bonifica, non deve essere utilizzata promiscuamente per la conservazione di pesce o altri prodotti congelati;

3) predisporre ed adottare apposita procedura scritta finalizzata al controllo dei parassiti, basata sui principi dell’HACCP, tenendo in considerazione almeno i seguenti elementi: 1) apparecchiatura/tecnologia in uso; 2) pezzatura dei prodotti che si intendono trattare e tempi previsti per il raggiungimento e mantenimento della temperatura di – 20 ° C a cuore del prodotto 3) specie di parassita e tempi di trattamento necessar per garantirne l’uccisione mediante congelamento a temperatura non superiore a – 20 °C;

4) identificazione del/dei CCP di processo e modalità per il controllo;

5) effettuare e mantenere la registrazione dei dati di monitoraggio del/dei CCP (es: quantità e pezzatura del pesce sottoposto a trattamento incluse temperature e tempi di congelamento) e la data di consumo/vendita per permettere all’AC di effettuare le opportune verifiche sui prodotti trattati ai sensi del regolamento (CE) 853/2004, allegato III, sezione VII, capitolo 3, lettera D, punto 3 ed i prodotti congelati. Le registrazioni dovranno essere tenute agli atti ed esibite su richiesta degli organi di controllo;

6) Il congelamento finalizzato alla bonifica preventiva del pesce è un procedimento espressamente richiesto dalla normativa vigente, applicato per un determinato lasso temporale e volto alla tutela della salute del consumatore. Per corretta informazione sul trattamento può essere utilizzata la dicitura: conforme alle prescrizioni del regolamento (CE) 853/2004, allegato III, sezione VII, capitolo 3, lettera D, punto 3.

Alla luce di quanto sopra esposto è da evidenziare che il pesce scongelato non può essere nuovamente ricongelato e che nell’ipotesi in cui, durante un controllo commerciale, venisse accertato che il pesce crudo servito alla clientela è fresco e non sottoposto al procedimento di bonifica preventiva, il commerciante soggiace alle sanzioni previste dall’articolo 5, della legge n. 283/62 oltre a quelle previste dal D.Lgs. n. 193/2007 (articolo 6, comma 8).

Video: Ecco come viene prodotto il kebab 

Piero Nuciari

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