Sacchetti biodegradabili. L’ennesima tassa nascosta?
Con l’entrata in vigore della norma (art. 9-bis del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91 convertito nella legge 3 agosto 2017, n. 123) che ha previsto il bando dei sacchetti di plastica nei reparti frutta e verdura dei supermercati, a favore di quelli biodegradabili a pagamento, negli ultimi tempi sui media non si parla d’altro.
Questa norma, introdotta con un emendamento del PD, peraltro all’interno di una legge che non c’entrava nulla (il Dl per lo sviluppo del Mezzogiorno) è stata etichettata come l’ennesimo favore agli amici degli amici sulla pelle dei consumatori italiani.
Le malelingue accusano Renzi di aver fatto un favore ad una sua amica, tale Catia Bastioli, manager della Novamont, già speaker alla Leopolda 2011, nominata nel 2014 presidente di Terna, agenzia energetica partecipata dal governo, presidente del Kyoto Club dal 2009.
L’ex Presidente del Consiglio si difende sui media definendo queste accuse come “Fake news” visto che, a suo dire, in Italia ci sarebbero diverse ditte che producono sacchetti biodegradabili.
Come al solito il buon Renzi racconta una falsa verità, visto che la società di Catia Bastioli, la Novamont, in realtà non produce direttamente i sacchetti, ma il materiale biodegradabile per fare la pellicola e chi confeziona materialmente i sacchetti lavora dietro licenza.
E’ da evidenziare che la Direttiva europea (U.E. 2015/720 del 29-04-2015) che ha modificato la direttiva 94/62 C.E. (che si occupava di imballaggi ma non di borse di plastica) NON HA ASSOLUTAMENTE bandito i sacchetti di plastica da 15 micron (per capirci i sacchetti usati nei reparti dell’ortofrutta), cosa che invece ha fatto l’Italia con la legge di Agosto scorso, probabilmente per cercare di mettersi in mostra in Europa come “il primo della classe” …della serie “Siamo europei solo quando fa comodo ai nostri politici!”.
Nella Direttiva UE si raccomanda solamente di diminuire in numero di sacchetti pro-capite annui, quelli che ci davano alla cassa, sotto i 50 micron, da 90 pezzi a 40 tra il 2019 ed il 2025.
In alternativa, ma solo in alternativa, “l’adozione di strumenti atti ad assicurare che, entro il 31/12/2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente…”
E’ da evidenziare che nella Direttiva viene previsto esplicitamente che le borse di plastica in materiale ultraleggero possono essere escluse da tali misure (sotto i 15 micron, quindi quelle per frutta e verdura!).
Se l’obiettivo dei nostri governanti era quello di ridurre la plastica, sostituendo i sacchetti con materiali biodegradabili, è da dire che forse ci sono riusciti a metà, visto che i nuovi sacchetti biodregradabili vengono comunque prezzati con apposita etichetta, composta di carta, colla e inchiostri sicuramente non biodegradabili e addirittura in alcune discariche non vengono accettati per l’umido (vedasi Bolzano), visto che intasano le macchine.
Il risultato è che il cliente mentre prima non li pagava (o li pagava con ricarichi irrisori sulla merce acquistata), ora li deve pagare alla cassa, con apposita voce, pena sanzioni salatissime a carico dei commercianti che li volessero dare in omaggio.
Il farli pagare al cliente è chiaramente una scelta economica, visto che da dati forniti da Novamont in un’intervista su “ilsecoloxix.it”, l’Italia ogni anno ne consuma 9-10 miliardi di pezzi.
…Fare due conti è semplice!
Il pericolo è che con il passare del tempo, avendo la Novamont il monopolio della materia prima, rialzi il prezzo della stessa facendo aumentare la “tassa” di circa 20-30 euro annui che attualmente, con la nuova norma, il consumatore è costretto a versare.
(Nota: pagando i sacchetti alla cassa, con una voce specifica, ci paghiamo anche l’IVA!).
Tassa è la parola giusta, perché nonostante che i nostri governanti (Renzi & Gentiloni) ripetano ogni giorno il mantra che “le tasse stanno scendendo”, di fatto le stannno inserendo in piccole quantità in ogni settore della vita dei cittadini. Piccole tasse, come quelle dei sacchetti biodegradabili, che sommate ad altre “piccole tasse” inserite qua e là, consento al Governo di aumentare l’imposizione fiscale a carico dei cittadini a loro insaputa.
Ben venga l’iniziativa di un supermercato di Sirolo (AN) che pur di non far pagare i sacchetti ai propri clienti si è inventato un modo più che originale di prendere la frutta senza sacchetto.
Questi geniali commercianti hanno messo a disposizione nel reparto frutta delle vaschette di plastica dove il cliente deposita all’interno la frutta e la verdura acquistata che viene poi pesata e successivamente imbustata alla cassa, in maniera promiscua, con un sacco biodegradabile grande. Con questo sistema hanno trovato il modo di aggirare la legge e di salvare l’ambiente, visto che ogni consumatore risparmia mediamente 3-4 sacchetti al giorno!
…Quando si dice “Il Genio italico!”
Ma torniamo ai nostri sacchi biodegradabili e all’obbligo o meno di farli pagare al consumatore.
LA CIRCOLARE Ministeriale esplicativa del Ministero dell’Ambiente, emanata di recente, non dà alcuna possibilità di scelta: i sacchetti devono essere fatti pagare alla clientela.
A conferma di ciò, il Ministero cita due articoli di legge:
“[omissis] … l’art. 226 bis, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 dispone che le borse di plastica biodegradabili e compostabili, nonché le borse di plastica riutilizzabili “non possono essere distribuite a titolo gratuito e, a tal fine, il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite”.
Parimenti, l’art. 226-ter, comma 5 del medesimo D.Lgs. n. 152/2006 dispone che le borse ultraleggere, “non possono essere distribuite a titolo gratuito e, a tal fine, il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro tramite”.
L’obbligo di pagamento delle borse ultraleggere, che trova la sua ratio nell’esigenza di avviarne una progressiva riduzione della commercializzazione, decorre dal 1° gennaio 2018.”
Esclusioni
E’ bene chiarire che la norma sugli ultraleggeri si applica esclusivamente alle borse di plastica a parete sottile meno di 15 micron e non ai foglietti trasparenti che il salumiere deposita sulle fette di prosciutto né alle vaschette rigide o alla plastica grossa e rigida della mozzarella. E’ anche esclusa la plastica forata del pane e, in genere, quella usata a fini igienici sui soli alimenti.
In sintesi, non sono interessati da alcun obbligo della nuova legge e possono essere ceduti gratuitamente, tutti gli altri sacchetti utilizzati a fini igienici e a diretto contatto con gli alimenti, anche se di plastica più spessa non biodegradabile o di altri materiali.
L’unico escamotage che ha il commerciante per ridurre al minimo questa iniqua tassa a carico della clientela, è quella di vendere i sacchetti ad 1 centesimo (sottocosto), visto che la legge non fissa il prezzo di vendita, oppure, come già avviene in Svizzera e in Germania, fornire alla clientela delle retine riutilizzabili, acquistabili una tantum, dove mettere la frutta e la verdura evitando l’uso dei sacchetti.
Quest’ultima è la proposta di Legambiente, ma per attuarla occorre il parere congiunto dei Ministeri dell’Ambiente e della Salute, …parere che, sicuramente, non arriverà mai.
Per chi volesse comunque acquistarli, su www.amazon.com digitare: “sacco in rete per la spesa”
Piero Nuciari
Views: 1373