articoliNews

Termine minimo di conservazione e data di scadenza: si può vendere cibo scaduto?

Data di Scadenza o Termine Minimo di Conservazione (TMC): qual è la differenza?

Prima di tutto, è importante capire la differenza tra la Data di Scadenza e il TMC (Termine Minimo di Conservazione). I prodotti che hanno superato il TMC possono essere consumati se l’imballaggio o la confezione che li contiene non è stato alterato. Al contrario, tutti i prodotti che superano la DDS (dicitura: da consumarsi entro…) devono essere obbligatoriamente ritirati dal commercio.

Nota: Storicamente la sentenza che ha sdoganato la vendita di alimenti scaduti purché non deteriorati è la Sentenza della Corte di Cassazione del 20 settembre 2016, n. 38841.
“La messa in vendita di prodotti scaduti di validità integra il delitto di cui all’art. 516 cod. pen. (vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine) solo qualora sia concretamente dimostrato che la singola merce abbia perso le sue qualità specifiche, atteso che il superamento della data di scadenza dei prodotti alimentari non comporta necessariamente la perdita di genuinità degli stessi”

Conseguentemente il reato di commercio di sostanze alimentari nocive non si configura attraverso la mera commercializzazione di prodotti alimentari con data di preferibile consumazione spirata, poiché tale reato sussiste laddove i prodotti abbiano, in concreto, la capacità di arrecare danno alla salute.
Secondo la Cassazione il superamento della data di scadenza non è necessario per determinare un cattivo alimento. Nel caso specifico la sentenza del 2019 riguardava delle confezioni di latte pastorizzato scadute da 4 mesi.

Come noto, le confezioni dei prodotti deperibili riportano la dicitura «da consumare preferibilmente entro il…». Occorre evidenziare che è quel «preferibilmente» che deve essere tenuto in considerazione. Non c’è scritto «assolutamente» ma «preferibilmente». Su altri prodotti freschi (ad esempio, il pesce decongelato e confezionato, la carne nelle vaschette e tutti gli altri prodotti tenuti refrigerati) è possibile trovare la dicitura «da consumarsi entro il…» senza il termine «preferibilmente». Ad ogni modo, ribadisce la Cassazione, la rilevanza penale della commercializzazione di sostanze nocive «è legata non già al dato formale del commercio di alimentari la cui data di scadenza (o meglio, di preferibile consumazione) sia già superata, ma al dato sostanziale della pericolosità in concreto»

In sintesi, per la Corte di Cassazione “Non sussiste alcuna ipotesi di reato nella condotta di chi commercializzi prodotti alimentari anche dopo la data di scadenza riportata nella indicazione “da consumarsi preferibilmente entro il..” o “da consumarsi entro il..”, bensì un mero illecito amministrativo (caso: “Da consumarsi entro il…) , a meno che non sia accertato in concreto lo stato di cattiva conservazione delle sostanze alimentari poste in vendita attraverso analisi di laboratorio.

Esiste una sanzione per la messa in vendita di un prodotto a TMC spirato?

Innanzitutto è da dire che la Corte di Giustizia Europea, nel caso CGUE, sez. V, 13.03.03, n. 229 – Müller c. Unahmbanginger Verwaltungssenat im Land, ebbe a precisare che:
“il prodotto alimentare con TMC spirato può essere legittimamente immesso in commercio;
[omissis]… la disciplina degli alimenti che versano in tale circostanza non rientra nell’intervento di armonizzazione operato dalla Direttiva 2000/13/CE, così che compete agli Stati membri decidere eventualmente come disciplinare gli alimenti con termine minimo di conservazione scaduto.”

Lo sviluppo successivo della normativa europea non pare aver innovato sulla questione, con la vendita oltre il TMC che rimane ammissibile a mente della regolamentazione UE.

Successivamente la Corte di Cassazione, con sentenza n. 26413 del 18.06.2013, affermò che: “ a meno che i prodotti venduti oltre la data di scadenza non siano effettivamente in cattivo stato di conservazione, non sussistono fattispecie penali nel caso di loro immissione al consumo, ma è integrato l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma 7, e all’art. 18 D.P.R. 109/1992” (ora abrogato dal D.Lgs. 231/2017.

Nota
L’art. 10, comma 7 del D.Lgs. 109/1992, avente come oggetto “Termine minimo di conservazione e data di scadenza”, stabilisce (stabiliva in quanto la il co. 7 è stato abrogato sin dal 2003 e ora il D.Lgs. 109/92 è stato integralmente abrogato dal D.Lgs. 231/17) che:
“è vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione”.

Conseguentemente in tale divieto non rientrano gli alimenti venduti oltre la data di TMC.

Dopo la sentenza del 2013, la Corte di Cassazione ha infatti proseguito nella propria “interpretazione” della normativa in termini di scadenza/TMC ed infatti, ancora nella recente sentenza della Sez. IV Penale, 21.03 – 11.04.2018, n. 16108, la Suprema Corte ribadisce il principio!

Termine minimo di conservazione: prodotti esenti

Il termine minimo di conservazione non è obbligatorio per la frutta e la verdura fresche (a meno che non siano sbucciate o tagliate), il vino e l’aceto, il sale e lo zucchero allo stato solido, i prodotti da forno come pane e focaccia, prodotti di pasticceria freschi, bevande alcoliche con percentuale di alcol superiore al 10%, gomme da masticare e prodotti simili.

Stessa regola vale per i prodotti da banco (salumi e formaggi venduti in supermercati e ipermercati che devono solo indicare la temperatura di conservazione dell’alimento).

Chi segue la materia sa che l’argomento (DDS e TMC) è disciplinato dall’articolo 24 del Reg. Ue n. 1169/2011 e dall’allegato X dello stesso, mentre le sanzioni sono previste dall’art 12 del D.Lgs. n. 231/2017.

L’allegato X, comma 1,  del Reg. UE n. 1169/2011, stabilisce che [omissis]… “1. Il termine minimo di conservazione è indicato come segue:

  1. La data è preceduta dalle espressioni:
  • <da consumarsi preferibilmente entro il …> quando la data comporta l’indicazione del giorno,
    < da consumarsi preferibilmente entro fine…> negli altri casi
  1. Le espressioni di cui alla lettera a) sono accompagnate:
  • Dalla data stessa, oppure
  • Dall’indicazione del punto in cui essa è indicata sull’etichetta.

Ove necessario, tali indicazioni sono completate da una descrizione delle modalità di conservazione che devono essere garantite per il mantenimento del prodotto per il periodo specificato. [omissis]”

Nota 1

Il temine minimo di conservazione si compone dell’indicazione in chiaro (e nell’ordine) del giorno del mese e dell’anno.

È espresso con l’indicazione del giorno e del mese  per i prodotti alimentari conservabili per meno di tre mesi, con l’indicazione del mese e dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per più di tre mesi ma meno di 18 mesi, con la sola indicazione dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per più di 18 mesi. (All. X, comma 1, lett. c del Reg. Ue n. 1169/2011)

Nota 2

Con il termine minimo di conservazione, viene fornita un’informazione sulla qualità del prodotto, se questo è mantenuto in adeguate condizioni di conservazione. Ciò significa che,  anche dopo la data indicata sulla confezione, il prodotto può ancora possedere le sue caratteristiche specifiche, non essere considerato pericoloso per la salute umana e quindi può essere posto in vendita.

È bene precisare che dal punto di vista pratico, quello che stiamo facendo è solo un discorso accademico visto che nella grande distribuzione molti prodotti a base di latte vengono ritirati dal personale del supermercato dai due ai sei giorni prima rispetto alla data di scadenza, per diversi motivi: in primis vi sono ragioni  d’immagine del supermercato, quindi la necessità di rispondere alle esigenze dei clienti. Per esempio, nel caso dello yogurt, esiste una vera e propria selezione naturale, visto che il consumatore tende ad allungare la mano oltre le prime file per prendere le confezioni più lontane le quali, notoriamente, scadono dopo. Tale pratica  rende, di fatto, inutile la vecchia tecnica commerciale di esporre avanti i prodotti che stanno per scadere.

Il legislatore, nel redigere l’art. 24 del reg. UE n. 1169/2011, in effetti, ha ritenuto che la presunzione di pericolosità sussista solo per i prodotti rapidamente deperibili, ossia quelli a rischio microbiologico.

Come tutti sapranno, la determinazione del termine minimo di conservazione è lasciata alla discrezionalità del confezionatore o, nel caso di prodotti importati, del primo venditore stabilito nell’Unione europea.

La garanzia offerta dal fabbricante o dal confezionatore mediante il termine minimo di conservazione è,  di fatto, una garanzia minima che va ben oltre l’esigenza della commestibilità, in quanto le proprietà specifiche sono soprattutto quelle organolettiche.

Le normative europee ed italiane hanno una grave lacuna: non indicano  chiaramente i prodotti che devono  riportare la data di scadenza ovvero il termine minimo di conservazione.

Di fronte a tale situazione, gli organi di vigilanza debbono adottare i necessari accorgimenti per evitare che si commettano abusi. La differenza  temporale tra la data indicata sull’etichetta e la permanenza del prodotto nei banchi di vendita va verificata caso per caso, a seconda del tipo di prodotto e sempre che il consumatore non sia tratto in inganno.

Per la data di scadenza la legge prevede l’ obbligatorietà della medesima per tutti i prodotti molto deperibili dal punto di vista microbiologico,  senza però elencarli dettagliatamente.
L’art. 10/bis del D.Lgs. 109/92, commi 3 e 4, ora abrogato dal D.Lgs. n. 231/2017, stabiliva genericamente che per i prodotti lattieri freschi, per i formaggi freschi, per la pasta fresca, per le carni fresche ed i prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi, la determinazione della data di scadenza era affidata ad appositi decreti dei Ministri delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali e della salute, sulla base dell’evoluzione tecnologica e scientifica. Anche per il latte, escluso quello UHT e sterilizzato a lunga conservazione, la determinazione della data di scadenza era stata delegata ai Ministri delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali e della salute, sulla base dell’evoluzione tecnologica e scientifica. Attualmente, la Legge 3 Agosto 2004, n. 204 fissa nel sesto giorno successivo a quello del trattamento termico, la durabilità del latte fresco pastorizzato e di quello fresco pastorizzato ad alta qualità, e nel decimo giorno la data di scadenza del nuovo tipo di latte “microfiltrato” fresco pastorizzato.

Molti altri prodotti freschi, nonostante le buone intenzioni del Legislatore, non sono stati ancora disciplinati per legge, per cui la decisione continua ad essere lasciata al produttore in base ad una serie di fattori che vanno dal trattamento tecnologico, alla qualità delle materie prime, dal tipo di lavorazione e di conservazione, per finire con l’imballaggio.

In base alle ultime normative igieniche, inoltre, l’azienda  – nello stabilire la data di scadenza- deve tenere conto anche di altre circostanze come gli eventuali sbalzi di temperatura durante il trasporto o la conservazione in banchi frigorifero a temperature più alte del dovuto. I prodotti più a rischio, in questo senso, sono i generi freschi: formaggi, salumi, verdure, piatti pronti etc. Se, ad esempio, i latticini  o i formaggi freschi vengono conservati ad una temperatura superiore ai 4 °C, più ci si avvicina alla data di scadenza,  più è facile  che i prodotti sviluppino sapori sgradevoli, anche se l’alimento non è deteriorato. Per quanto riguarda gli yogurt, invece, la data di scadenza viene elaborata in base alla presenza dei fermenti lattici contenuti: più il prodotto è fresco e più è alta la concentrazione di questi organismi.

Per ultimo è da evidenziare che la legge non fa alcun accenno alla data di confezionamento o di produzione.

Le indicazioni «da consumarsi entro il…» o «da consumarsi preferibilmente entro il…»  assumono, pertanto, un valore relativo perché, in alcuni casi, vi è la prevalenza di interessi industriali o commerciali rispetto esigenze legittime dei consumatori, cui segue un prolungamento sia della data di scadenza, che del termine minimo di conservazione dell’alimento.

Di seguito uno specchio riepilogativo. Fonte: www.ilfattoalimentare.it

Piero Nuciari

Print Friendly, PDF & Email

Visits: 6443

Condividi