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Tracciabilità dell’olio di oliva, forse l’ennesima legge di facciata

Il 18 Dicembre scorso la Commissione Agricoltura ha definitivamente licenziato, in sede legislativa, la legge sulla tracciabilità dell’olio extravergine di oliva.

La legge è composta da 17 articoli, suddivisi in cinque capi:
il capo I, riguarda le “Norme sull’indicazione dell’origine e classificazione degli oli di oliva vergini”;

il capo II tratta delle “Norme sulla trasparenza e sulla tutela del consumatore”;
il capo III è relativo alle “Norme sul funzionamento del mercato e della concorrenza”;
il capo IV riguarda il “contrasto delle frodi”;

il capo V, infine, comprende le “Norme finali”.

Da segnalare sono i contenuti degli articoli 1,4,5,6,7 e 11.
L’articolo 1 riguarda l’etichettatura.
Viene previsto che l’indicazione di origine degli oli di oliva vergini deve figurare in modo facilmente visibile e chiaramente leggibile nel campo visivo anteriore del recipiente, in modo da essere distinguibile dalle altre indicazioni e dagli altri segni grafici. Le indicazioni debbono essere stampate con caratteri di determinate dimensioni e in contrasto con il colore di fondo dell’etichetta.
Nel caso di miscele di oli di oliva estratti in un altro Stato membro dell’Unione europea o in un Paese terzo, l’indicazione dell’origine di cui al comma 1 è immediatamente preceduta dall’indicazione del termine « miscela », stampato con diversa e più evidente rilevanza cromatica rispetto allo sfondo, alle altre indicazioni ed alla denominazione di vendita.

Gli articoli 4,5 e 6 disciplinano i messaggi ingannevoli, vietando informazioni che evocano zone di origine non corrispondenti a quelle effettive oppure le omissioni che possono ingenerare false convinzioni circa l’origine delle olive.
Viene stabilito (art. 5) che non possono essere registrati come marchi di impresa segni che possono ingannare i consumatori sulla provenienza geografica delle materie prime degli oli vergini. Per l’uso illecito di marchio, le sanzioni previste dall’articolo 6 sono di natura penale.

Novità per i Pubblici Esercizi

L’articolo 7 stabilisce in 18 mesi il termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche dalla data di imbottigliamento in adeguate condizioni di trattamento. Le confezioni dovranno riportare la dicitura: « da consumarsi preferibilmente entro » seguita dalla data.

Al comma 2 viene previsto che gli oli di oliva vergini proposti in confezioni nei pubblici esercizi, ad eccezione di quelli usati in cucina per la preparazione dei pasti, devono possedere idoneo dispositivo di chiusura in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata, ovvero devono essere etichettati in modo da indicare almeno l’origine del prodotto ed il lotto di produzione a cui appartiene.

Con questo comma, viene rimarcato il divieto, peraltro già in vigore da qualche anno, di mettere a disposizione della clientela oliere rabboccabili, prive di etichetta esterna circa l’origine dell’olio.

I contenitori messi a disposizione dei clienti, dovranno quindi essere confezionati appositamente, con in etichetta le indicazioni sopra descritte e non potranno essere rabboccabili. E’ da evidenziare che se nel pubblico esercizio vengono messe a disposizione della clientela confezioni di olio con il termine minimo di conservazione scaduto, il comma 3, dell’articolo 7, prevede in capo al titolare una sanzione amministrativa da 1000 a 8000 euro e la confisca del prodotto.

Vendite sottocosto

Altro articolo degno di nota è il numero 11, che disciplina le vendite sottocosto degli oli di oliva extra vergini.
La nota importante da segnalare è che per gli oli di oliva extra vergini, la vendita sottocosto è soggetta a comunicazione al comune dove è ubicato l’esercizio commerciale almeno venti giorni prima dell’inizio e può essere effettuata solo una volta nel corso dell’anno; inoltre viene vietata la vendita sottocosto di oli extra vergini di oliva da parte di esercizi commerciali che, da soli o congiuntamente a quelli dello stesso gruppo di appartenenza, detengono una quota superiore al 10 per cento della superficie di vendita complessiva esistente nel territorio della provincia dove hanno la loro sede.

Anche questa è una grande novità, visto che il Decreto del Presidente della Repubblica 6 aprile 2001 n. 218, che disciplina le vendite sottocosto nel nostro Paese, prevede disposizioni differenti.
Il DPR 218/2001, infatti, prevede il divieto di vendita sottocosto agli esercizi commerciali che, da soli o congiuntamente a quelli dello stesso gruppo di appartenenza, detengono una quota superiore al 50% della superficie di vendita complessiva esistente nel territorio della provincia dove hanno sede; inoltre, prevede che la vendita sottocosto può essere effettuata solo tre volte nel corso dell’anno.

Fino a qui possiamo affermare che la legge appare ben fatta e capace di tutelare sia i produttori che i consumatori del nostro Paese, ma (…purtroppo c’è un “ma” che tutti, organizzazioni di categoria e politici, come al solito fanno finta di ignorare perché poco preparati oppure, ipotesi più realistica, perché sono in arrivo le elezioni!) come al solito i politici italiani hanno fatto i conti senza “l’oste” europeo.

Pochi infatti sanno che buona parte delle disposizioni approvate contrastano con la normativa europea sull’etichettatura dei prodotti alimentari.
Il disegno di legge è  stato notificato dal Ministero competente alla Commissione europea il 21 Novembre 2012; questo vuol dire che, indipendentemente dalla data dichiarata di entrata in vigore della legge, la sua applicazione è automaticamente sospesa sino al 22 febbraio 2013, escluse eventuali e ulteriori proroghe o diverse valutazioni dell’Esecutivo comunitario, nonchè osservazioni dei Paesi membri.
La legge, quindi, rischia di diventare una delle tante destinate a finire nel dimenticatoio, alle pari di altre che, nel corso degli anni, hanno inutilmente tentato di disciplinare queste materie.

Piero Nuciari

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